A sorpresa Mercedes-Benz espone al Motor Show di Tokyo il prototipo di una grande automobile battezzata Maybach ed immediate sono le reazioni che si accendono attorno alla vettura.

Della Maybach colpiscono le generose dimensioni, quasi sei metri di lunghezza (5,77 per la precisione, 56 centimetri in più della S 600), l’inusitata colorazione per l’epoca, l’opulenza e la raffinatezza dell’arredo interno, e il nome.

Già, perché se la generale memoria storica del mondo dell’auto è corta, per gli uomini della Mercedes-Benz, Wilhelm Maybach (1846-1929) è non dimenticato protagonista, come designer, di alcuni capitoli della storia dell’automobile germanica per aver sviluppato con Gottlieb Daimler la prima vettura Daimler ed aver dato vita alla leggendaria Maybach “Zeppelin” 12 cilindri, rappresentativo esempio di veicolo di lusso.

Ma è lo stile della Maybach che accende nel generale stupore qualche perplessità e scettici commenti.

Le perplessità traggono origine dalla carente informazione sull'”essere” della vettura che si esprime con stilemi senza tempo. Se l'”oggetto” Maybach, anziché sotto i fari di un comune salone dell’automobile fosse stata presentata in passerella, nello scenario di un concorso di eleganza, mettiamo Pebble Beach, dallo stupore generale non si sarebbero levate note stonate.

E’ a Pebble Beach, California, nel corso della edizione 1996 del più celebrato concorso d’eleganza per automobili d’epoca che nasce nella mente degli uomini di vertice del design Mercedes-Benz l’idea Maybach.

“Le vetture da Concours d’Elegance che si vedono a Pebble Beach in genere sono macchine prestigiose di cui si è perduta la continuità. Appartengono ai tempi d’oro dell’automobile prima della seconda guerra mondiale e i loro marchi sono spariti dalla scena.

Ha avuto chiara continuità soltanto il fenomeno Rolls Royce, c’è stato qualche altro sporadico esempio come la Mercedes 600 all’inizio degli anni Sessanta. Sì, l’idea è maturata a Pebble Beach, dove la parte buona del passato arride per qualche ora agli occhi e alla memoria”, racconta Bruno Sacco.