Dopo l’annuale visita al salone di Detroit, Robert Cumberford analizza la difficile condizione dell’industria automobilistica statunitense, afflitta da una crisi profonda per mancanza di vendite e di idee, oltre che di manager davvero capaci.

Ford e General Motors, le ultime due grandi case americane rimaste in piedi, hanno secondo Cumberford solo due possibilità: «possono chiudere gli stabilimenti e ridurre il numero di dipendenti trasformandosi in entità molto più piccole fino a scomparire per irrilevanza, come è successo all’industria automobilistica britannica un tempo vitale, che cinquant’anni fa era la seconda al mondo dopo gli Stati Uniti. Purtroppo sembra che la Ford abbia scelto questa strada. Oppure possono cambiare il top management assumendo executive esperti che introducano un cambiamento globale, come ha fatto Carlos Ghosn alla Nissan, e quindi far seguire alla riorganizzazione un’intera serie di prodotti desiderabili, con un design curato come le vetture italiane, un engineering all’altezza delle tedesche e una sicurezza alla pari delle svedesi e realizzati con la stessa cura di quelle giapponesi e coreane. O, idealmente, ancora migliori sotto tutti gli aspetti. L’attività solita non funziona più; la nuova realtà è cambiare o morire. GM e Ford sono al bivio: o hanno successo o scompaiono, di fatto se non di nome. Vent’anni fa sarebbe stato impossibile immaginare che la Bentley, la Jaguar e la Rolls-Royce non sarebbero più state inglesi o la Chrysler americana; oggi è un fatto compiuto. Cinque anni fa chi avrebbe mai pensato che la Cadillac in futuro potrebbe sopravvivere solo come marchio di un veicolo costruito in Cina? Eppure attualmente c’è un cinquanta per cento di probabilità che ciò accada (nel migliore dei casi)».

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