2008199701_MercedesBenz_A_Cass La Classe A è il punto di svolta sostanziale e reale della filosofia progettuale e produttiva della Mercedes-Benz. Ed è una svolta annunciata perché preceduta da chiari segnali, come il prototipo Vision A, e da un lungo e sapiente lavoro di comunicazione cominciato ben prima del lancio ufficiale della vettura.

 

2018197702_MercedesBenza_A_Class Ma perché questa automobile, apparentemente così diversa dagli schemi produttivi della casa di Stoccarda? Quando e come il management della società ha intuito e deciso di diversificare il prodotto Mercedes-Benz? A queste ed altre domande che hanno contrassegnato la progettazione e lo sviluppo del concetto “Classe A” risponde Bruno Sacco, direttore del Design Mercedes.

Che cosa ha rappresentato Bruno Sacco nell’affascinante storia dello stile Mercedes nel suo lungo governo di uno dei più prestigiosi centri stile è suffragato dalle automobili modellate negli ultimi vent’anni.

“Questa diversificazione – sottolinea Sacco – è sorretta da precise intenzioni. Essa fa parte della grande offensiva imprenditoriale della Mercedes mirata a ringiovanire l’immagine del marchio, a dare, cioè, la possibilità di accedere alle nostre automobili da parte di una categoria di acquirenti che non intravedevano nella gamma il prodotto adatto alle loro intenzioni”.

Era, questa Classe A, l’unica strada perseguibile?
“Penso proprio di sì. Ci siamo presentati con un prodotto di nuova tipologia, un qualcosa che sul mercato non esisteva ancora, malgrado la presenza di veicoli simili ma nella norma per tecnica e tecnologia. La Classe A esprime invece un concetto diverso sotto tutti i punti di vista. Prendiamo, ad esempio, quello della sicurezza. Una macchina di così ridotte dimensioni, per offrire il livello più elevato di sicurezza, non poteva essere una semplice riduzione in scala di altri modelli. Essa doveva nascere dopo lunga gestazione di ricerche tecniche e tecnologiche che risolvessero realmente i problemi di impatto annessi alla sicurezza ottimale. Quello frontale, in particolare, che non si esaurisce soltanto con la struttura a sandwich, ma progettando un motore che dal suo punto di posizionamento finisse, al momento dell’urto, sotto la vettura e non s’introducesse in casa”.

Quando avete cominciato a disegnare l’involucro, il package era già stato definito?
“E’ stato ridefinito, anzi rifatto, dopo la Vision A, il cui package era il punto di partenza. Le dimensioni sono più o meno le stesse. Abbastanza definito era invece il concetto informatore della sicurezza passiva. Tuttavia, il concetto totale, dopo la presentazione della A, è stato ripensato, rivisto e corretto affinché la nascente Classe A fosse una macchina seria e non un prototipo di studio. La vettura, così come è oggi, è stata progettata e sviluppata dopo Francoforte ‘93, salone in cui venne mostrata al pubblico la Vision A. Questo ci teniamo a dirlo.”

Al momento di decidere questa svolta, ed affrontare il concetto di una vettura rivoluzionaria rispetto ai canoni tradizionali della Casa, è stata, pensiamo, oggetto di profonda meditazione e discussione, soprattutto sui riflessi che avrebbe avuto sull’immagine Mercedes.
“Senz’altro. Ma come avviene in questi casi, o si continua a discutere senza trovare unanimità di decisione oppure qualcuno dice basta alla discussione e decide. A dir basta e procediamo, sono stati Helmut Werner e Jürgen Hubbert. Restano, dell’operazione, i pro e i contro. Ma siamo tutti dell’idea che i pro sopra-vanzeranno i contro, soprattutto per ciò che concerne la possibilità di accesso alla marca”.

Come ha trasmesso ai suoi diretti collaboratori e ai suoi designer il concetto della Classe A?
“In maniera abbastanza semplice. Conoscendo i miei collaboratori che hanno un’età media relativamente bassa, cioè sono molto giovani, non mi è stato difficile far capire loro che cosa intendevamo fare con quella macchina. Che, in fondo, li interessava direttamente perché allargava la scelta fra SLK, CLK e giardinetta della Classe C. Se vogliamo, si offriva loro la possibilità di disegnare la macchina desiderata”.

Un progetto dunque che è stato affrontato con molto entusiasmo.
“Sì, è proprio il caso di parlare d’entusiasmo. Come facciamo di solito, siamo partiti disegnando liberamente, pur sapendo che il concetto tecnico di questa automobile non permetteva interpretazioni sbagliate o meno aderenti al tema. I disegni espressi nella fase di ricerca rivelano che si è tentato di profilare un volume e mezzo. Abbiamo così portato avanti sei proposte di design scala 1:1, tutti con le stesse possibilità di successo. Alla fine abbiamo preso la decisione: questa estrema interpretazione di monovolume che rendeva più chiara l’idea del nuovo e del progressismo. Un monovolume secco, puro, nel quale l’unica concessione è stata la leggera ondulazione del cofanetto per introdurvi i segni esteriori della marca”.

La simbologia Mercedes, dunque. Quali sono state le sue maggiori preoccupazioni nella fase di progettazione? Ricercare una vera nuova tipologia di vettura contrassegnata dai simboli della marca o lei si è preoccupato prima di salvaguardare questi simboli?
“Indubbiamente quella di portare a termine un concetto di design che esprimesse le nostre intenzioni, ossia il ruolo che questa macchina doveva nell’ambito della gamma. Più in particolare, che si ravvisassero a prima vista i segni della massima innovazione”.

Ora che la Classe A è entrata in produzione ed ha affrontato il giudizio del pubblico, ha dei ripensamenti? Se dovesse ricominciare da capo, cambierebbe qualcosa?
“No, decisamente no. A parte il fatto che i sei concetti di disegno che abbiamo sviluppato erano realmente validi, tutti e sei avevano ragione di esistere e di essere portati avanti, la decisione finale è stata ben ponderata e condivisa quasi all’unanimità. No, da parte mia non ci sono ripensamenti. Il problema si presenterà quando dovremo rifare la Classe A, problema che in futuro non potremo fare a meno di affrontare. Forse, la stessa carica di innovazione non ci sarà più. Ma, alla maniera di James Bond, preferisco concludere con un mai dire mai”.

L’articolo continua su Auto & Design n. 105