Le Marea sono state concepite in seno allo stesso progetto che ha portato alla nascita di Bravo e Brava. Era previsto che la famiglia delle nuove “tipo C” fosse composta da quattro versioni della stessa vettura, con molte parti comuni, soprattutto per le porte.

Il primo confronto tra i modelli in scala 1:1 del Centro Stile Fiat e quelli dei due concorrenti esterni, Italdesign e I.DE.A. Institute, avviene nel gennaio del 1992 contemporaneamente alle versioni a tre e cinque porte, le future Bravo e Brava. Le quattro vetture sono indicate con la sigla di progetto 182. Viene scelta la “famiglia” proposta dal Centro Stile Fiat, compreso il design degli interni (vedi “Design story Bravo e Brava” in Auto & Design n° 94), dopo un secondo confronto con due modelli dell’I.DE.A. Institute.

In questa prima fase, le porte delle future Marea sono ancora in comune con la Brava. Proseguono gli affinamenti e viene deciso di differenziare i due progetti assegnandoli a due piattaforme diverse e la tre volumi e station wagon assumono il codice 185, distanziandosi anche come tempi di sviluppo (un anno in più rispetto a Bravo e Brava).

“Abbiamo selezionato dei componenti che avevamo sviluppato per Bravo e Brava per riservarli alle Marea e abbiamo preso un maggiore grado di ibertà nelle porte” racconta Nevio Di Giusto, coordinatore dei centri stile dei marchi di Fiat Auto. Viene realizzato un modello asimmetrico per la station wagon con porte posteriori specifiche su un lato.

La berlina, che mantiene il taglio porte “ad arcobaleno” della Brava, acquisisce anch’essa una propria linea di cintura, più tesa e meglio rispondente alle esigenze di una vettura a tre volumi. “Il diverso trattamento della fiancata è stato reso possibile dalle porte dotate di telarino, non avvolgenti sul tetto, che lasciano maggiore libertà nella parte superiore”, spiega Peter Davis, responsabile del design per il marchio Fiat.

Qui risiede la sostanziale differenza tra i progetti Tempra e Marea: mentre la prima e la sua versione station wagon erano visibilmente costituite da parti aggiunte al modello di base da cui derivavano – la Tipo – Marea e Marea Weekend sembrano aver riplasmato le forme di Bravo/Brava integrandole con le parti specifiche per creare dei volumi organici, coerenti e armoniosi.

Nel frattempo, il management decide che un’altra vettura di cui è in progetto la sostituzione, la sorella maggiore Croma, non avrà eredi. Per la 185 si ipotizza anche il ruolo di modello successore della berlina Fiat per il segmento D. Il volume posteriore acquisisce più importanza e ampiezza e si modella intorno al disegno dei fari bilobati, il cui sviluppo orizzontale “allarga” otticamente la vista posteriore.

Il movimento della superficie del bagagliaio evidenzia meglio i parafanghi, che appaiono più alti e muscolosi. Ben presto, però, si delinea più chiaramente il segmento di appartenenza della 185, a metà strada tra i vecchi modelli Tempra e Croma. “Abbiamo riservato a Lancia e Alfa Romeo l’interpretazione delle berline di alta gamma secondo la loro immagine, lusso e sportività.

Fiat ha la vocazione di essere più funzionale, quindi la Marea doveva essere una “segmento D” compatta”, dice Di Giusto. “Abbiamo osservato che le vetture “D” stavano crescendo di dimensioni. Ci siamo quindi rivolti a quei clienti che continuano a preferire le vetture di quel segmento meno ingombranti e pesanti”.

Per la Marea Weekend, era stato previsto sin dall’inizio il posizionamento dei fari sul montante posteriore. A differenza della Punto, non scendono però al di sotto del lunotto a cui si affiancano; in alcune proposte alternative, la ricerca per una continuità di superfici si è spinta fino a mettere i fari “sotto vetro”.

La soluzione prescelta, in cui il gruppo ottico raggiunge l’estremità del tetto, avrebbe comportato notevoli problemi di stampaggio. “Mauro Basso e Antonio Piovano, due dei nostri designer che hanno svolto il tema stilistico delle 185, hanno suggerito di integrare il portapacchi con il faro”, racconta Peter Davis.

“Questo dettaglio, che ora caratterizza la vettura, non è nato da una volontà presente nello stilista sin dall’inizio, ma dall’esigenza del progetto. I designer che difendono una scelta ad oltranza sono ciechi: spesso, dalle difficoltà nascono soluzioni originali impreviste”.

L’articolo continua su Auto & Design n. 99