Disegnare il Suv più veloce del pianeta. Si potrebbe riassumere in una sola frase il brief progettuale che il Centro Stile Lamborghini ha ricevuto per la Urus, sport utility dalle fattezze aggressive e dalle proporzioni sorprendenti, come si conviene a ogni creatura del Toro. «Per noi designer è stata una grande sfida, cui abbiamo risposto come sempre con grande serietà, ma anzitutto divertendoci», racconta il capo del design Lamborghini Mitja Borket non appena tolto il velo al nuovo modello a Sant’Agata Bolognese, nel dicembre scorso. «Perché quando ci si diverte e c’è passione, allora nasce davvero una grande vettura».

Urus

Urus non è un Suv come tutti gli altri, ma nemmeno una Lamborghini come tutte le altre. Quell’inconfondibile profilo a cuneo delle coupé biposto con architettura a motore centrale, in cui un tratto continuo raccorda il frontale con la sommità del tetto, sopra al parabrezza, non sarebbe stato in questo caso tecnicamente attuabile. La Urus ha infatti il potente motore V8 bi-turbo da 650 CV montato di fronte a un generoso abitacolo a cinque posti.

Urus

Eppure, risulta subito immediatamente percepibile come una Lamborghini. «Le proporzioni rimangono estreme, con un frontale di altezza ridotta e il cofano decisamente inclinato», spiega Borkert, sottolineando come la Urus, con la sua silhouette slanciata e la vetratura sottile rispetto alla cintura alta, sia anche il Suv più basso e largo in commercio. E poi c’è tutto il Dna del marchio, nei riferimenti storici così come nel lavoro di dettaglio e nelle grafiche che scandiscono volumi e superfici.

Urus

A differenza di altri brand che hanno introdotto per la prima volta un Suv nella loro gamma, o ve l’aggiungeranno presto, Lamborghini vanta un’antenata: la LM002 prodotta dal 1986 al 1992. «Quella vettura ha ispirato il trattamento del cofano della Urus con il “power dome” che evidenzia la posizione del motore e i passaruote con linee diagonali anziché ad arco tondo, per accentuare il dinamismo. E ancora, l’uscita aria triangolare sui parafanghi anteriori, qui reinterpretata e decorata con la bandiera italiana: un piccolo dettaglio che mostra tutto l’orgoglio di essere un’auto disegnata, sviluppata e costruita a Sant’Agata Bolognese».

Urus

C’è anche il Dna della Countach, prosegue Borkert, tracciando su un foglio le linee essenziali alla definizione del frontale e della coda. Lui le chiama “linee di Gandini”: «Ci sono quella centrale, le diagonali che divergono sull’anteriore e quelle sul cofano motore, tutte riprese sulla Urus. Ho grandissima stima per il lavoro di Marcello Gandini, di recente è stato qui da noi in visita, lui è il mio punto di riferimento nella storia Lamborghini».

Urus

Per gli interni – assai evoluti rispetto all’abitacolo più sperimentale e spartano della Urus Concept – i designer sono partiti dal concetto “feel like a pilot”. «Abbiamo realizzato la posizione di seduta più bassa di tutti i Suv attuali», fa notare Borkert, «e la console centrale che risale verso la plancia definisce una postazione di comando dove hai tutto sotto controllo». Tre schermi TFT, di cui uno dedicato alla strumentazione e due centrali sovrapposti, costituiscono l’interfaccia digitale hi-tech, ma l’elemento distintivo è il Tamburo, il selettore delle modalità di guida ispirato a comandi aeronautici.

L’articolo continua su Auto&Design n. 229