Aldo Mantovani è morto a metà del giugno scorso. Aveva 82 anni, ne abbiamo dato notizia nell’editoriale dell’edizione di luglio-agosto, immediatamente e un po’ sommariamente (la rivista era già in avvio di stampa), ma non potevamo rinviarla tale era la notorietà del personaggio. Quel lutto ci feriva direttamente perché eravamo suoi estimatori e amici, e colpiva soprattutto l’automobile italiana poiché Mantovani ne era stato protagonista della storia per mezzo secolo come “uomo di progetto enciclopedico” in grado di concepire in toto l’ingegneria del veicolo, come si legge nella perfetta sintesi del personaggio descritta dalla motivazione della laurea Honoris Causa in Ingegneria conferitagli dal Politecnico di Torino poco prima del distacco dalla sua lunga e feconda attività.
Allora, avevamo promesso che di Aldo Mantovani avremo mantenuta viva la memoria.
Cosa che facciamo ora con due testimonianze che ne delineano, rafforzandoli, tutti gli aspetti umani, intellettivi e di lavoro dello scomparso. La prima è di Giorgetto Giugiaro, compagno di lavoro, socio e amico. L’altra è del figlio Marco che ha seguito le orme del padre.
«Un uomo davvero eccezionale. Tanto nel lavoro che nella vita». In quell’aggettivo, Giorgetto Giugiaro racchiude il suo pensiero su Aldo Mantovani, con cui per quarantanove anni ha condiviso la passione per l’automobile, la vocazione innata per la progettazione di superbi modelli, un sodalizio di successo e, ciò che esalta il valore del loro lungo e fecondo rapporto, un’amicizia solida, sincera e leale.
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A chi chiede se la scelta di seguire le orme paterne è sua o è il padre che gli ha indicato la strada, Marco, figlio unico di Mantovani, risponde: «Mi sono sentito in dovere di seguirne le orme, anche perché un’opportunità come questa non capita a tutti. Lui è stato il mio esempio nel lavoro e nella vita. Mia madre mi ha tramandato il senso del dovere, lui mi ha formato nel lavoro e nell’affrontare la vita. Quando sono entrato in azienda, io venivo dall’università ed era l’epoca in cui si iniziavano ad usare i computer, già si stavano facendo degli esperimenti per introdurre la digitalizzazione computerizzata dei piani di forma. Mio padre mi ha fatto iniziare la carriera dal basso e come prima esperienza in estate mi mandava a lavare tutte le scocche della BMW 1 o in officina a fresare. Ripeteva spesso che prima bisogna vedere le cose da vicino come vengono fatte e adeguarle poi alle nostre capacità».
«Lui era un tecnico e un idealista a 360 gradi», prosegue Marco Mantovani. «Applicava la sua competenza tecnica sia al prodotto che al processo, per lui importante era fare le cose il più in fretta possibile». Giugiaro ha affermato che l’amico Mantovani non gli ha mai detto no, a nessun progetto, è vero? «Sì, girava attorno al problema che gli si poneva finché non trovava il modo di risolverlo. Non si arrendeva mai».
L’articolo continua su Auto & Design n. 178