Motore V6 a benzina, architettura ibrida e un’inedita collocazione all’interno degli equilibri di gamma, che vengono integrati senza sostituire alcun modello esistente. Se oggi i paradigmi di tutti i costruttori si ridisegnano sull’esigenza di contenere le emissioni, la 296 GTB assume per Ferrari il valore di un’autentica rivoluzione: ecco perché diventa particolarmente interessante scoprire come i cardini progettuali di sempre non siano mutati.

«Fin dall’inizio si è deciso, ad esempio, per il passo corto, al fine di massimizzare il divertimento di guida», conferma Flavio Manzoni, dal 2010 alla guida del Centro Stile Ferrari. «Siamo quindi partiti dallo studio delle proporzioni generali, che si è sviluppato in maniera piuttosto lineare e ha condotto presto a risultati soddisfacenti». Al centro dell’impostazione, il coraggioso lunotto verticale capace non solo di rimodellare gli assunti formali della coda, bensì di spingere a immaginare diversamente l’andamento degli altri volumi.

Il risultato appare dunque come un complesso organico, “olistico”, in cui la complessità tecnica è domata attraverso gli strumenti della coesione estetica. «Al posteriore, non a caso, si raccoglie un’ampia serie di soluzioni tecnico-aerodinamiche, di cui lo spoiler retrattile e gli scarichi “alti” e centrali costituiscono solo gli elementi più visibili, però tutte racchiuse in uno specchio di poppa estremamente compiuto e coerente».

L’area intorno al propulsore costituisce poi ambito d’elezione per i riferimenti storici, dal coperchio trasparente con tassello longitudinale verniciato che evoca la 308 del 1975 fino, addirittura, alla struttura stessa dei passaruota, «modellati molto forti e caratteristici, dall’aspetto quasi estruso» in grado di citare direttamente la 250 Le Mans del 1963. Come già accaduto in altri lavori diretti da Manzoni, la rilettura del passato si amalgama tuttavia alla più avanzata delle impostazioni formali, fino a fondersi in un prodotto leggibile anche secondo una chiave unicamente odierna.

E il muso? «Nasce dalle tante iterazioni necessarie per organizzare il posizionamento delle prese d’aria, fra cui quelle integrate nei gruppi ottici per ventilare i freni, ed è riuscito perché liscio, elegante, privo di orpelli. I proiettori, cui tenevamo molto, garantiscono dal canto loro un’espressione assertiva».

Ascoltando Manzoni si crede di aver intuito perché la 296 GTB abbia costituito anzitutto un esercizio di gestione delle complicazioni. Ma lui, una volta ancora, stupisce con una considerazione più profonda: «Spesso si dice “less is more”. Ebbene, secondo me l’espressione non è da intendersi nel senso del perseguire un cieco minimalismo. Semmai, bisogna occuparsi dei numerosi problemi del progetto tramite una misurata dose di quoziente artistico. Del resto, come sosteneva il grande scultore Constantin Brâncuși: “La semplicità è la complessità risolta”».

(Articolo completo in A&D n. 250)