«Volevamo creare un oggetto d’arte, non soltanto un’automobile, partendo dai nostri codici stilistici per proiettarli nel futuro». Flavio Manzoni, Chief Design Officer Ferrari, presenta così la Ferrari Daytona SP3, il nuovo gioiello da collezione che si aggiunge alle Ferrari Monza SP1 e SP2 nel segmento “Icona”, che il marchio del Cavallino dedica alle serie speciali evocative della propria storia. Un progetto in cui a dettare letteralmente la linea è il design, con una libertà stilistica raramente concessa nel caso di una supercar.
Riferimenti dal passato
Se per le Monza il riferimento storico sono state le “barchette” degli Anni 50, per la Daytona SP3 l’ispirazione è venuta dalle leggendarie vittorie delle Sport Prototipi di Maranello del decennio successivo, in particolare la 330 P3/4, la 330 P4 e la 412 P che nel 1967 conquistarono il primo, secondo e terzo posto alla 24 Ore di Daytona. «Erano vetture progettate espressamente per la pista e la performance, ma con una bellezza intrinseca spettacolare.
Oggetto futuristico
Opere d’arte molto sensuali grazie a parafanghi voluttuosi e possenti a fronte di una cabina compatta, quasi fosse un cockpit aeronautico incastonato nella vettura», osserva Manzoni. Ma precisa subito: «Non abbiamo mai pensato a un’interpretazione letterale di quelle forme. La Daytona SP3 si stacca dal passato per diventare un oggetto futuristico, quasi una scultura d’arte astratta». Il progetto ha preso avvio nel 2018, poco dopo il lancio delle Monza SP1 e SP2. L’architettura deriva da una base nobile (LaFerrari, senza però la propulsione ibrida), con il motore il V12 aspirato in posizione centrale posteriore portato a 840 Cv, il più potente sinora prodotto da Ferrari.
Corpo vettura monolitico
«Volevamo cogliere quello spirito voluttuoso delle Sport Prototipi degli Anni 60 partendo dall’eccellenza in termini di chassis», spiega Palazzani. La de-ibridazione del propulsore ha consentito ai designer di lavorare alle proporzioni ideali rivisitando tutto il layout termico, di concerto con gli ingegneri, per ottenere un corpo vettura monolitico e scultoreo, con una forte sciancratura centrale. Anche i fari con la semi-palpebra sono una rivisitazione moderna di quelli a scomparsa, un elemento affascinante che svela una doppia identità, da tempo sognavamo di reinterpretarli».
Abitacolo definito da una sola linea
Un approccio seguito anche per gli interni, luogo d’incontro tra lo spirito Sport Prototipi e il confort moderno di una lounge room, spiega Massari. «Ci siamo chiesti in che cosa consistesse il fascino di quelle vetture, così spartane, minimali, con il telaio rivestito a vista. Siamo quindi partiti dalla purezza formale. Tra le prime raffigurazioni abbiamo scelto quelle che ci consentivano di disegnare l’abitacolo quasi con una sola linea».
Interni funzionali
L’arco del parabrezza sembra dividere in due l’abitacolo: «Dietro, l’area avvolgente dei sedili, un “mantello” che si estende sino alle porte; davanti, la parte funzionale, con la plancia ridotta al minimo, svuotata ove possibile per dare una sensazione di ampiezza. Tenendo però sempre a mente le performance, nei test in pista abbiamo verificato con i collaudatori ogni minimo dettaglio, ad esempio lo spazio per i gomiti in curva».
Scherza Palazzani: «Il fatto che sia stato un progetto “design-driven” non deve ingannare, abbiamo solo sofferto un po’ meno». Non a caso Flavio Manzoni parla di approccio olistico: «Amalgamare tutto per tenere la forma pura, con le funzioni tecniche in seconda lettura, per una forte unitarietà dell’insieme». Il mito Ferrari si mantiene vivo grazie a vetture così. Ovviamente, molto esclusive.
(Articolo completo in A&D n. 252)