La giusta alternanza di morbidezza e tensione per un’auto figlia di un design semplice ed efficace. La Pininfarina H2 Speed, monoposto da pista alimentata a fuel cell ad idrogeno, è un omaggio discreto alla tradizione Pininfarina nei prototipi di ricerca e, in particolare, alla Sigma Gran Prix del 1969 con cui condivide la volontà di innovazione nel settore delle competizioni.
I riferimenti sono sottili, ma precisi: il bianco della carrozzeria con la messa in evidenza delle zone funzionali – rosso per le aree legate all’aerodinamica e verde per quelle relative alla sicurezza e alla tecnologia -, la grafica del logo, la bandierina svizzera che affianca quella italiana sul fianco (una citazione alla Revue Automobile Suisse che sponsorizzò la Sigma, e un richiamo alla collaborazione con GreenGt, l’azienda svizzera partner tecnologico del progetto H2 Speed) e poi, la similitudine più forte, il posizionamento laterale dei serbatoi. Due bombole a 700 bar, carenate ad arte, realizzate in multistrato di carbonio ad alta resistenza, alle quali si aggiunge il piccolo serbatoio longitudinale dietro il posto di guida. Un totale di 200 litri di idrogeno con un peso di soli sei chilogrammi, che rappresenta una variazione minima sul peso totale dall’inizio alla fine di una corsa.
«Questo progetto aveva margini di libertà molto ridotti, dati dalla scelta di utilizzare come base della vettura il telaio monoscocca in fibra di carbonio LMP2 Le Mans omologato Fia, e dalla presenza delle bombole ad idrogeno», spiega Fabio Filippini, chief creative officer di Pininfarina. «Ancora prima di immaginare la forma della vettura, abbiamo lavorato molto sulla definizione dei volumi e delle masse e sul posizionamento dei serbatoi. Siamo partiti dall’architettura globale per arrivare ad una silhouette dinamica che mette in risalto gli aspetti tecnici senza subire la tecnologia, ma evidenziandola e sfruttandola da un punto di vista creativo», continua ancora Filippini.
«Siamo giunti ad una configurazione dall’ottima distribuzione dei pesi, 49% anteriore e 51% posteriore, che permette alla vettura un’autonomia di 40 minuti in pista, con tre minuti di tempo per il rifornimento», precisa Fabrizio Valentini, design vice director of Pininfarina.
Dalla definizione della forma in pianta, data dalla convergenza, al centro della vettura, di due forme triangolari opposte, è partito il lavoro congiunto del design team, dei modellatori cas e degli ingegneri. Un percorso veloce con tanta modellazione digitale, tre passaggi in galleria del vento virtuale (settata con i valori di quella reale che Pininfarina possiede dal 1972), due fresature in polistirolo per visualizzare i minimi aggiustamenti formali, e la realizzazione del prototipo.
«La H2 Speed ha la genetica per trasformarsi in vettura effettiva con modifiche minime e stiamo lavorando all’ipotesi di una serie limitata. Pensiamo agli appassionati, alle aziende che possano utilizzarla come laboratorio di test e, perché no, a nuovi scenari nelle corse. Dieci anni fa non esisteva la Formula E, ed oggi ha molto successo. Questo potrebbe succedere anche con le vetture ad idrogeno», conclude Fabio Filippini.
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