Le aziende del design italiano in particolare negli ultimi anni hanno mantenuto e rafforzato la leadership internazionale ricorrendo di frequente a progettisti provenienti da tutto il mondo. In un sistema ormai globale è certo naturale, ma talvolta tale predilezione esterofila aveva portato a trascurare il lavoro di una nuova generazione di designer italiani, che invece proprio di recente ha ritrovato la meritata visibilità. Una mostra alla Triennale a loro dedicata ha completato un lungo lavoro condotto in questi anni da studiosi come Stefano Maffei, Virginio Briatore o Beppe Finessi, e realtà culturali ed editoriali come Opos, aedo-to, design-italia.
Il panorama delle nuove generazioni identifica differenti direzioni di lavoro e ricerca. Fra attitudine personale e necessità, diversi hanno privilegiato da una parte un’ispirazione a volte spiazzante rispetto alle consuetudini comuni d’uso e mercato, dall’altra la scelta o l’obbligo del lavoro sulla piccola scala di prodotto e produzione. Con un approccio che Andrea Branzi ha utilmente definito di “microriformismo quotidiano”. Da Giulio Iacchetti e Matteo Ragni a Paolo Ulian, da Lorenzo Damiani a Odoardo Fioravanti o Enrico Azzimonti. Talvolta anche muovendosi su scala internazionale, come Gabriele Pezzini con le sue collaborazioni con le aziende del Far East per prodotti a tecnologia complessa.
Altri designer hanno saputo cogliere l’occasione di lavorare con importanti aziende, ottenendo risultati soddisfacenti. Dal trasgressivo Fabio Novembre, attivo con Cappellini e Meritalia, a Marco Acerbis, colto e d’impostazione “architettonica”, che vanta prodotti con Fontana Arte e Alias, da Gabriele Schiavon (Lagranja design) con le lampade morbide per Foscarini al lavoro maturo e controllato di Marco Zito per Viabizzuno.
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