L’innegabile successo dell’Italdesign negli ultimi trent’anni non è dovuto esclusivamente all’intelligenza creativa di Giorgetto Giugiaro, noto in tutto il mondo, né alla sola competenza tecnica del suo meno in vista ma ugualmente importante partner, Aldo Mantovani, bensì alla straordinaria sintesi raggiunta dai due.
Giugiaro è pronto a sottolineare che mai e poi mai Mantovani si oppone ad una nuova idea. Per quanto impossibile da realizzare, Mantovani vi rinuncerà solo dopo averla verificata insieme al suo staff tecnico aperto e competente. Il che, secondo Giugiaro, è in netto contrasto con le reazioni negative che molto spesso riceve dagli ingegneri delle aziende committenti.
Più spesso di quanto non si creda, invece, Mantovani riesce a inventare soluzioni che segnano un progresso nell’arte della carrozzeria per l’intera industria automobilistica. Le cosiddette porte ad autoclave, che si estendono fino al tetto furono rifiutate dall’ingegner Fiala della Volkswagen, ma vennero rese operative da Mantovani e sono visibili su un gran numero di vetture oggi in circolazione.
L’Italdesign non produce automobili, a differenza delle vecchie concorrenti, Bertone e Pininfarina, entrambe discendenti dalla tradizione della carrozzeria italiana ed entrambe impegnate oggi in importanti progetti di produzione in serie. L’unica vettura sul mercato con una scocca interamente costruita dall’Italdesign fu la BMW M1 del 1978, prodotta in poche centinaia di esemplari.
Non furono opera della sola Italdesign invece i venticinque esemplari della sportiva Aztec del 1988, equipaggiata con motore Audi, destinate al mercato giapponese. Tuttavia, l’Italdesign ha costruito più di cento prototipi per la Daewoo Lanos, e con la sua capacità di produrre tre prototipi completi ogni settimana, l’Italdesign potrebbe senza difficoltà intraprendere la strada della produzione in serie di una vettura come la W12, coupé e spider, disegnata l’anno scorso per conto della Volkswagen.
Lo stesso Giugiaro non fa mistero del desiderio di dedicarsi a quella produzione specialistica per la casa tedesca. Quando gli è stato chiesto di enumerare le auto preferite tra le tante progettate negli ultimi trent’anni, Giorgetto Giugiaro, senza sorprendere nessuno, ha messo al primo posto la prima Volkswagen Golf, come già aveva fatto dieci anni fa sul numero 49 di Auto & Design.
Il motivo non è tanto dovuto al fatto che con il suo stile giovane e razionale la Golf ha sostituito un’icona, divenendo una delle vetture di maggior successo per quattro generazioni, ma anche perché essa rappresenta il cambiamento più importante nella filosofia formale di Giugiaro. “Sapete, la Golf deriva direttamente dalla Mangusta”, dice il maestro. “Venite, vi spiego perché”.
Nel museo Italdesign, ancora da completare, segue con la mano il profilo del parafango anteriore e poi su, fino al montante del parabrezza. “Vedete, la luce risale sul montante e non lungo la porta, proprio come sulla Mangusta”. Ed è vero. Poi Giugiaro spiega che la De Tomaso Mangusta che aveva creato alla Ghia rappresentava uno sforzo consapevole di sfuggire alla curve sinuose caratteristiche della Bertone, che lui stesso aveva contribuito a sviluppare, il cui esempio migliore si trova forse nell’Alfa Romeo Canguro, ancora oggi la preferita di molti designer, nonostante gli oltre trent’anni di età.
La Golf arrivò in un momento sociologicamente perfetto. L’embargo petrolifero degli arabi durante gli anni 70 aveva indotto molti clienti facoltosi non acquistare le grosse automobili che avrebbero normalmente scelto, preferendo la Volkswagen per il design e la qualità. L’auto da museo della quale si è servito Giugiaro per illustrarci i suoi progetti è una Golf GTI prima serie a quattro porte, costruita su sua personale richiesta e riprodotta unicamente per il grande direttore d’orchestra Herbert von Karajan.
Ma sono state le centinaia di migliaia di proprietari di una Golf a far capire l’importanza fondamentale di quel pro-getto. Che, curioso a dirsi, rischiò di non vedere mai la luce. Nel 1969, l’allora presidente della VW, Kurt Lotz, visitò il Salone dell’Automobile di Torino, prendendo nota delle automobili che più gli piacevano: sei di queste gli sarebbero servite d’ispirazione per le future Volkswagen. Quando venne a sapere che di quelle sei ben quattro erano disegnate da Giugiaro, fu stabilito che l’Italdesign avrebbe partecipato al programma per i nuovi modelli della Volkswagen.
Ecco allora la prima Passat, nel 1973 e subito dopo un’auto che nelle intenzioni del presidente doveva essere “più modesta della Fiat 128”. In pratica, erano allo studio due vetture simili alla Golf, una di dimensioni maggiori e una più piccola, quando Rudolf Leiding subentrò alla presidenza della VW e annullò l’intero programma, ad eccezione della Golf che oggi conosciamo. Anche quel progetto doveva essere cancellato perché, disse Leiding, “non può funzionare, ma è troppo tardi per modificarlo”.
Il meno che si possa dire di Leiding è che la sua fortuna superava di gran lunga la sua capacità di giudizio in fatto di design. Senza la Golf, la Volkswagen sarebbe probabilmente scomparsa, basata com’era su modelli a motore posteriore la cui concezione risaliva agli anni 30.
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