2104199901_Ugolini_Global_Design“Esiste una chiave vincente: l’agilità d’intervento e la forza delle idee. Per questo non ci fa paura confrontarci con i colossi. Al cliente offriamo qualcosa di più, anzi di assolutamente diverso”.
Roberto Ugolini, ingegnere meccanico riminese, quarant’anni e una vocazione forte per il design in tutte le sue espressioni, non ha ambizioni da Don Chisciotte. Al contrario, il suo pragmatismo gli ha già consentito di realizzare un piccolo impero.

 

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La Ugolini Global Design oggi ha due sedi autonome e complementari, a Rimini (dall’88) e Milano (dal ’96), 1300 m2 complessivi, 30 specialisti equamente divisi tra designer e progettisti, le attrezzature più sofisticate per il design avanzato, l’engineering, il marketing del prodotto.

 

“Fin dai tempi dell’università a Bologna – racconta Ugolini – pensavo a questo preciso indirizzo, al design su misura per i clienti. Infatti mi laureai con il progetto della moto Tesi, un prototipo rivoluzionario realizzato per la Bimota di Rimini e ancora in produzione. Ma devo a Leonardo Fioravanti, e poi a Lorenzo Ramaciotti, la scintilla decisiva che ha segnato la mia attività. Fu in occasione di uno stage alla Pininfarina che imparai a coniugare il design con la praticità. Nell’88 fondai lo studio Ugolini”.

E partì la grande avventura, rivolta inizialmente soprattutto alla collaborazione con aziende motociclistiche (oltre a Bimota, anche la Cagiva e la Honda Europa). Con l’inaugurazione della sede milanese, l’attività si è ulteriormente evoluta, allargando gli orizzonti italiani alle grandi aziende e aprendo spazi ad autorevoli panorami internazionali. Sempre con un’idea precisa: fornire creatività e apporto progettuale, fino all’ingegnerizzazione dell’opera.

Ugolini spiega la sua filosofia: “Non è un problema di terminologia. Noi offriamo la totale partnership progettuale, non soltanto l’industrial design. Lavoriamo in team interdisciplinari, partendo dall’analisi di mercato e seguendo l’intero processo, fino ad assumere in alcuni casi la responsabilità totale del prodotto, se serve fino alla gestione degli stampi. Un po’ come fece Giugiaro vent’anni fa nell’auto. Senza voler sembrare presuntuoso, dico che l’industrial design sta stretto alla nostra azienda, è un marchio riduttivo. L’agilità ci aiuta a fare miracoli e perfino a divertirci”.

“Il limite delle grandi strutture – spiega – è quello di badare talvolta più alla firma che alla sostanza. Così l’interpretazione artistica dell’oggetto va sovente a scapito della sua praticità, nascono prodotti per offrire emozioni, non per servire. C’è troppa cultura dello styling. Il nostro concept invece parte dall’astrazione totale dell’estetica. Prima immaginiamo e spieghiamo l’oggetto, badando anche alla sua realizzatività, senza nemmeno dare al cliente un’idea della forma. E solo in seguito, quando la funzionalità è verificata, si svela e si perfeziona il suo equilibrio estetico”.

L’articolo continua su Auto & Design n. 115