Sorrisi, volti distesi, sguardi soddisfatti. È raro incontrare un design team così genuinamente felice. Ma stavolta, presso il Centro Stile Alfa Romeo, si viene accolti da un’emotività sanguigna, non trattenuta, pienamente espressiva delle speranze che si addensano intorno alla nuova berlina. Gli spazi in cui si svela una preziosa Quadrifoglio preserie sembrano foderati di entusiasmo. «È un’auto molto, molto attesa. Ma soprattutto è un progetto che avvera il sogno di ogni designer: poter lavorare su una base tecnica ideale», spiega Marco Tencone, responsabile dello stile del marchio. «La trazione posteriore, la collocazione del propulsore e l’architettura generale, che comprende anche elementi come carreggiate e passaruota, ci hanno regalato il layout perfetto per costruire le forme di una sportiva autentica, senza forzature espressive». Nella sua voce vibra il sentore di un’energia che languiva in potenza da tempo. «Dopo il lancio della Giulietta, nel 2010, la nostra ricerca non si è certo fermata», conferma Lorenzo Ramaciotti, uno dei più illustri responsabili di questo progetto. «Ma abbiamo sempre dovuto confrontarci con i vincoli dei pianali a trazione anteriore, a volte litigando con gli ingegneri. Questa piattaforma ci ha concesso un approccio diverso, molto più “sano”».

La silhouette è fluita quasi autonomamente verso il suo equilibrio naturale: abitacolo arretrato, come sospinto dal motore longitudinale, curvatura del padiglione modellata spostando le masse visive sul posteriore, sbalzo anteriore scattante che accende l’attenzione sul lungo passo. La distribuzione dei volumi appare “asciugata” sull’ossatura di direttrici tracciate dalla meccanica, senza gratuite mascherature stilistiche, enfatizzando sapientemente i muscoli sottesi alle singole soluzioni tecniche. «L’intera carrozzeria è disegnata secondo il principio dei minimi, cioè evitando barocchismi e ridondanze, intorno a una center line che la cinge a tutto tondo: si tratta di una vera e propria linea di costruzione delle fiancate, che genera anche gli altri volumi», spiega Alessandro Maccolini, responsabile degli esterni.

Ne discende che le superfici risultino fortemente interdipendenti, perché non si è trattata la vettura per facce, ma come un unicum plastico e tridimensionale che richiede un dialogo molto omogeneo fra fianchi, coda e muso. Tanto più che, anche in omaggio alla tradizione italiana degli anni Cinquanta e Sessanta, la grammatica dei segni della Giulia s’ispira a essenzialità e pulizia: rifugge da quell’eccesso di nervature, gradini o profili cromati di cui sono spolverate alcune concorrenti. «È naturale che un rapporto così “puro” con la nuova piattaforma, non mediato da artifici, renda particolarmente delicati i trattamenti superficiali», interviene ancora Ramaciotti. La curvatura dei pannelli, ma anche la connessione visiva fra porzioni diverse, appare oggetto di uno studio accurato: basti pensare ai rivestimenti dei brancardi, innestati sotto i parafanghi anteriori con una leggera torsione (adatta alle versioni più tranquille come alle più cattive), oppure al lunotto leggermente avvolgente, che cita l’Alfa 156 e risolve morbidamente l’incrocio fra montante C e spalla del passaruota. «Ecco perché sostengo che, oltre alle proporzioni e alla semplicità, il terzo pilastro di quest’auto sono le superfici», conclude Ramaciotti.

L’abitacolo è permeato dal sapore di cambiamento tipico delle iniziatrici di un nuovo corso: la componentistica è inedita, il volante esibisce il tasto d’accensione come un gioiello, il connubio di pulizia e completezza funzionale stupisce. «Abbiamo lasciato la complessità solo dove serve, sottoponendo l’ergonomia a test in strada, con piloti esigenti» spiega Inna Kondakova, appassionatissima responsabile degli interni. Al Centro Stile sussurrano anche che l’imprinting, con la plancia trasformata in una prosecuzione visiva del cofano, quasi a lanciare la meccanica verso il guidatore, trionferà su tutte le future Alfa.

 

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