In una congiuntura automobilistica spesso prona agli eccessi formali, si avverte subito la differenza di impostazione e linguaggio di David Durand, che dallo scorso 11 maggio dirige lo stile Dacia, una Casa dall’evoluzione davvero peculiare, rinata sotto l’egida Renault nel 2005 e sempre più allineata ai tempi. Il racconto del suo lavoro prende le mosse da un principio preciso: l’essenzialità. Di fronte al riuscito prototipo Bigster, alla seconda uscita prima della presentazione al pubblico al Salone di Parigi, si discute dei pilastri che struttureranno le future creazioni: «Quando disegniamo, ci chiediamo continuamente se ogni singolo dettaglio sia funzionale all’insieme, sia sul piano estetico sia sul pratico», spiega il designer lasciando intendere che non sempre, per oggetti così carichi di significati, ci si interroghi altrettanto sul tema.
«È necessario però anche perseguire una certa “coolness”, una piacevolezza in grado di colpire lo sguardo: si tratta di un aspetto fondamentale e legato alla pulizia visiva» continua, in un ragionamento che vede il tanto ricercato “effetto wow” discendere proprio dalla semplicità. A patto, naturalmente, che l’economia di segni e volumi non diventi opacità: «Dopo aver schizzato i bozzetti iniziali spesso proviamo a eliminare alcune linee. Se ci accorgiamo che il risultato perde espressività, le ripristiniamo subito».
Accanto a ciò che si potrebbe definire “essenzialità con fascino”, colonne portanti della progettualità Dacia si rivelano pure l’orientamento allo stile di vita outdoor (inaugurato nel 2011 con la Duster) e l’ecologia-economia derivata dall’ottimizzazione di dotazioni e pesi. Ma, come svela Durand alla fine del proprio intervento: «La vera missione del marchio consiste nel rendere il buon design alla portata di tutti». E con Bigster, l’ecumenico intento sembra decisamente raggiunto.