“La bruttezza si vende a fatica!” È il titolo di un libro di Raymond Loewy ed è anche il leitmotiv dell’opera di questo designer tanto elegante nel suo lavoro quanto nel suo aspetto. Così Serge Bellu inizia su Auto & design 158 il ritratto di uno dei teorici dello stile del ‘900. Eccone alcuni passaggi:
“Raymond Loewy ha il profilo di un eroe hollywoodiano, prima di tutto fisicamente(…). Baffi conquistatori, flanelle squisite, disegni monocromatici in grigio e cravatte annodate con pennacchio. La sua vita è un romanzo. Bravo figlio, buon soldato, grande seduttore prima di diventare un marito riconoscente, ha tutti gli attributi dell’emigrante trionfatore, del vincente così come lo sogna l’America”.
“A quindici anni Raymond Loewy ha già realizzato che «il design industriale poteva significare guadagnare denaro divertendosi».
Quando si ritrova a Manhattan, per Loewy il discorso cambia. Intraprende il cammino del disincantamento, bussa a porte che non si aprono: malgrado il suo bagaglio tecnico, viene respinto da General Electric”.
“L’anno 1929 segna la svolta nella carriera di Loewy. La società Gestetner lo contatta per ridisegnare la macchina duplicatrice. (…) La rivoluzione del design è cominciata. Tutta una generazione di giovani creativi, nata alla fine degli Anni 20, sta fiorendo sotto le spinta della crisi economica. Loewy è il più mediatico di un gruppo che comprende Walter Teague, Henry Dreyfuss, Norman Bel Geddes e Harold Van Doren, rivali che si stimano, si affiancano e si aiutano a vicenda (…)”.
“Il 16 luglio 1988 la morte di Raymond Loewy è sulla prima pagina dei grandi quotidiani. Un caso unico per la stampa che non ha l’abitudine di occuparsi della vita e della morte dei designer, ma questo stilista ha una statura tale che deborda dal quadro del suo microcosmo”.
L’articolo continua su Auto & Design n. 158