Tornare a una vettura italiana, una di quelle auto che piacciono in patria come oltre confine perché fortemente espressive eppure semplici, immediate nel loro essere accattivanti nel disegno così come nelle proporzioni. Questo il distillato del compito assegnato ai designer Fiat per il progetto della due volumi di segmento intermedio che doveva succedere alla Stilo. Una missione non semplice, all’inizio, proprio per l’eredità che quella vettura lasciava alla generazione seguente. Come non semplice è stato lo svolgimento del progetto, articolatosi in tre fasi successive.
La prima ha preso il via nel 2003, con un confronto tra i centri stile dei marchi Fiat e Lancia, e alcuni consulenti esterni, tra cui Itadesign Giugiaro, Bertone e il designer indipendente Sotiris Kovos. È il modello del centro stile Lancia ad essere preferito, ma i carry over pesanti non convincono del tutto.
Il progetto entra in una seconda fase nel 2004. Nell’autunno, Harald Wester assume l’incarico di Responsabile dell’Engineering & Design, e chiede ai designer di connotare la vettura con una “immagine di famiglia” che la renda coerente con la Grande Punto Fiat. Senza però rinunciare allo definizione di un’identità propria.
La terza fase del progetto, che porterà rapidamente alla definizione e al congelamento dello stile, inizia nell’aprile 2005, quando Frank Stephenson arriva a Torino per ricoprire il ruolo di direttore del design di Fiat, Lancia e veicoli commerciali leggeri. I designer intanto, avevano inoltrato un elenco con le richieste d’intervento per potersi svincolare dai “punti duri” dell’architettura e trasformare la futura Bravo nella vettura che oggi conosciamo: un parabrezza più avanzato e inclinato, un tetto quindi più basso, un muso più compatto, l’allargamento delle carreggiate.
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