Sarà forse drastico affermare che l’atmosfera generale al salone di Detroit (il North American International Auto Show, per chiamarlo con il suo pretenzioso nome completo) era di panico puro, ma non si era troppo lontani, almeno per quanto riguarda le tre aziende americane, ora ironicamente definite “le Beg Three” (le tre che elemosinano) dopo il disastroso viaggio da Detroit a Washington in quattro jet privati (anche il leader del sindacato United Auto Workers ne ha usato uno) per chiedere i prestiti governativi che le salvassero dal tracollo.
Sotto il profilo delle relazioni pubbliche è stato un insuccesso al massimo livello, che ha indotto quattro americani su cinque a dichiarare che Chrysler, General Motors e Ford dovrebbero raccogliere ciò che hanno seminato ed essere abbandonate al loro destino.
Sono tutte in gravi difficoltà, ma a livelli diversi. La Chrysler di proprietà privata è di fatto già finita: ha pochi prodotti desiderabili in listino, al contrario delle sue rivali non può rifarsi ad alcuna operazione di successo oltreoceano per proporre veicoli più piccoli al mercato americano e non ha nulla in fase di sviluppo che sia realizzabile entro l’arco di tempo assegnato dagli xenofobi luddisti del Congresso degli Stati Uniti. Ad alcuni giornalisti e analisti finanziari sono state mostrate le grandi berline che sostituiscono le attuali Chrysler 300 e Dodge Charger; molti convengono che sono “stupefacenti”, ma probabilmente saranno inutili se l’azienda non viene rilevata.
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