Guidare tra le colline per arrivare fino al mare, fermarsi per pranzo lungo la strada e, sulla via del ritorno, deviare verso il circuito dove fare un paio di giri in pista da record prima di rincasare. E’ un brief da Dolce Vita quello che Lowie Vermeersch e il suo team di GranStudio hanno ricevuto nell’estate del 2015, quando Giampaolo Dallara ha affidato loro il progetto stilistico della sua vettura stradale ad alte prestazioni. «Da tempo l’ingegner Dallara voleva un’auto che sintetizzasse la sua visione. Una sportiva due posti molto essenziale, con il massimo rapporto peso/potenza secondo la filosofia delle competizioni, ma in cui il piacere di guida si innesti nell’uso quotidiano. E, soprattutto, la voleva bella», racconta Vermeersch.
Il suo team, guidato dal chief designer Giovanni Piccardo, si è messo subito al lavoro sull’impostazione tecnica fornita dagli ingegneri della Dallara, un layout estremamente dettagliato in cui i requisiti aerodinamici, in particolare, erano imprescindibili. Due le caratteristiche essenziali: doveva trattarsi di una vera barchetta senza porte e avere il motore quattro cilindri in posizione centrale trasversale. Un’architettura che impone un corpo vettura molto basso al centro, per consentire l’ingresso scavalcando la parete laterale, a fronte di un volume posteriore decisamente più alto nel quale convogliare flussi d’aria per l’alimentazione e il raffreddamento.
Nella prima fase era stata ipotizzata una fiancata scavata per alimentare la grande presa d’aria davanti al passaruota posteriore. «In combinazione con il profilo così basso centralmente, rispetto alla coda alta, la forma appariva però fragile al centro. Abbiamo allora pensato di far passare i dotti per l’aria all’interno della fiancata, sfruttando l’opportunità data dall’assenza delle porte», spiega Piccardo. Ne è conseguita una sezione di fiancata robusta e al tempo stesso utile come appoggio per accedere nell’abitacolo. Una scultura di grande effetto, funzionale alle esigenze tecniche: all’interno della fiancata destra è convogliata l’aria per l’intercooler, a sinistra quella destinata al motore. I fari sono sagomati per non disturbare i flussi che investono il frontale prima di penetrare in questi convogliatori.
Come per ogni dettaglio del progetto, sfociato in una sportiva di forte grinta e grande eleganza, anche questa soluzione vede stile e funzione perfettamente integrati. «Non si tratta però del tipico “form follows function”, né tantomeno di un approccio in cui lo stile si impone sulla funzione. Noi parliamo piuttosto di Performance Design, un processo che abbiamo svolto in un dialogo costante con gli ingegneri della Dallara», precisa Vermeersch, raccontando di un avvincente periodo di sei mesi di “trazione continua”, in cui il suo team e quello del committente si sollecitavano l’un l’altro per mettere a punto le superfici ideali, testate e affinate in continuazione in virtuale a Torino e in galleria del vento a Varano de’ Melegari nell’area dedicata alla divisione dell’Aerodinamica, una delle eccellenze della Dallara.
«Guardando la Stradale senti l’accelerazione dell’aria sulle forme», dice Giovanni Piccardo, che predilige i volumi con sezioni non costanti e precisa subito che «alcune soluzioni del modellato, come il fianco con quella profondità, sono rese possibili solo dall’impiego della fibra di carbonio», un altro ambito di competenza in cui la Dallara è altamente specializzata.
Anche il pilota e il passeggero vivono l’emozione di sentire su di sé l’aria e l’accelerazione, a meno che non scelgano di aggiungere alla barchetta una cupola in plexiglass che comprende il parabrezza e due sportelli che si aprono ad ala di gabbiano incernierati ad una traversa longitudinale, con possibilità di impiegare i vari pannelli in configurazioni diverse (coupé, roadster o con tetto “tipo targa”). In ogni caso, l’abitacolo suddiviso in due zone abbraccia gli occupanti facendoli sentire protetti, ben calati nei sedili sportivi garantendo supporto anche nelle decelerazioni laterali che nella Stradale, per effetto di un carico aerodinamico praticamente uguale al peso totale della vettura, contenuto in 855 kg, arrivano a 2G.
«L’esperienza d’uso è fondamentale, e volevamo che quest’auto fosse vissuta come una estensione del tuo corpo», spiegano Vermeersch e Piccardo. «Volevamo massimizzare il contatto fisico tra uomo e macchina, per innescare l’interazione e la sintonia». L’ambiente è da sportiva pura, con parti della scocca in carbonio lasciate a vista e completate da imbottiti.
A bordo così come all’esterno le grafiche volutamente pulite si sposano a forme semplici, ma al tempo steso sofisticate. Ed è proprio in questo aspetto che si estrinseca la filosofia estetico-formale del progetto, spiega ancora Lowie Vermeersch: «E’ un disegno che non è derivato da quelle che riteniamo essere le ultime tendenze, ma che ha invece la fiducia di nascere puramente dai contenuti del progetto, mescolato con la visione di un gruppo compatto di esperti. In quel senso lo stile vuole essere in un certo modo “trasparente”, come se le forme emergessero dall’interno, e innescare un contatto vero e diretto tra chi l’utilizza e l’anima della vettura».
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