In piedi di fronte a quella sagoma scura che si profila acquattata sotto un telo impenetrabile, tutti attendono trepidi il momento in cui gli speech termineranno e sarà finalmente possibile cogliere la più evoluta espressione dello stile di Hiroshima nel fulgore di tutti i suoi dettagli, la Mazda Vision Coupé Concept. È la vigilia dell’apertura del Salone di Tokyo e la Casa ha organizzato una Design Night su misura per la sua ultima creatura. D’un tratto, chi scrive si sente sussurrare all’orecchio: «Guardala di tre quarti anteriore, è la vista migliore con questa luce». A parlare è Kevin Rice, a capo del design di Mazda Europe e sempre memore dell’italiano appreso durante la sua esperienza in Italdesign alla fine degli anni Ottanta. Nel suo consiglio traspare molto della filosofia che ha generato quest’intrigante coupé a quattro porte, capace come poche di calamitare consensi alla prima occhiata.
Perché il progetto si nutre di riflessi, di autentici grafismi luminosi che danzano sul metallo, di raggi di curvatura inattesi: al punto che, in alcune immagini, la carrozzeria pare addirittura assumere una curiosa veste bicolore grazie al solo rimbalzare della luce, ai profondi giochi chiaroscurali che animano le lamiere. Effetto di grandissima purezza visiva, molto distante dalla complessità un po’ artificiosa di talune concorrenti, ma per nulla immediato nella realizzazione: «Siamo partiti, come sempre per Mazda, da un blocco di clay scolpito a mano.
Ogni volta che un artigiano aggiungeva una curva apparentemente gradevole sul materiale opaco, era necessario misurarla in modo digitale e matematizzarla, per poter simulare il riflesso che avrebbe generato. Poi si tornava a incidere sulla “scultura” e poi ancora al computer, all’infinito, fino a ottenere il risultato desiderato. Un lavoro incredibile, che non a caso ha richiesto ben due anni per il confezionamento completo della showcar».
Insieme alla RX Vision del 2015, la Mazda Vision Coupé rivela la futura direzione di sviluppo del Kodo Design, introdotto nel 2010 e maturato nel segno di una sempre più profonda compenetrazione di essenzialità e dinamica, di minimalismo e sensibilità percettiva. Ma non solo: la concept si spinge anche a restituire visivamente un’influenza profonda, quella legata all’antica arte giapponese dell’equilibrio fra pieni e vuoti, fra tranquillità formale e centri d’attenzione. La stessa che determina, per esempio, la presenza di spazi liberi e puri nei cosiddetti “giardini zen”.
Se, però, vuoto e assenza di decorazione possiedono un immenso valore culturale per il Sol Levante, le difficoltà tecniche dell’applicazione in ambito automotive non hanno tardato a manifestarsi: «Abbiamo dovuto relazionarci strettamente con gli ingegneri per rendere apribili porte così convesse. Inoltre, questo tipo di superfici ribalta le immagini, il che può trasformarsi in una difficoltà estetica in più. E, non da ultimo, l’ondulazione va davvero studiata con grandissima precisione: basta imprimere troppa energia o troppa sensualità a una linea per rovinare tutto» spiega ancora Rice.
Un tale impegno sarà premiato al meglio, cioè con l’ingegnerizzazione e l’arrivo della vettura sul mercato? «Posso solo augurarmelo, nulla di più» è il laconico commento ufficiale. Difficile non condividere.
L’articolo continua su Auto&Design n. 228