Fare il lavoro dei propri sogni è un privilegio, ma quando l’aspirazione di diventare un car designer si realizza in uno dei brand più blasonati del panorama automobili-stico allora si può dire di avere davvero fatto centro. Mitja Borkert, 50 anni, è capo del design Lamborghini dal 2016. La sua più che una passione è, come spiega, una (positiva) ossessione.
Quando hai capito che nella vita avresti voluto fare il car designer?
«Ho tanti ricordi della mia infanzia legati al disegno. Disegnavo qualsiasi cosa avesse delle ruote, dalle vetture ai veicoli militari. Sono nato in un paese della Germania dell’Est a 90 chilometri da Berlino e per strada non vedevo certo i modelli che circolavano nelle grandi città europee. Auto come Lamborghini, Porsche o Ferrari da noi non erano molto conosciute e ammiravamo più che altro sportive “normali” che ogni tanto vedevamo, come la Opel Calibra o la Honda CRX, la mia prima auto. Mio fratello ogni tanto portava a casa delle riviste: le ritagliavamo e poi creavamo il nostro modello unendo le varie parti in un album. Nostro padre ha conservato molti di quei disegni e ogni tanto ci capita di guardarli e sorridere: avevamo creato una vera e propria gamma di vetture!».
Ci sono stati momenti di svolta nella tua vita?
«La caduta del muro di Berlino nel 1989 ci ha dato l’opportunità di aprirci al mondo portando via il pessimismo dalle vite delle persone. Grazie a questo sono riuscito a studiare e sono partito per l’Università di Pforzheim dove mi hanno insegnato a trasformare la mia abilità nel dise-gno in una professione. Inizialmente disegnavamo macchine del caffè oppure ombrelli, insomma, cose non troppo appassionanti, ma quando nel 1994 ho conosciuto il corso di Transportation Design la mia vita è cambiata. Ricordo l’odore del clay nei laboratori e mi sono detto: “Mitja lo sentirai per tutta la vita”. La mia è un’ossessione positiva».
Quali sono stati gli incontri che hanno cambiato la tua carriera?
«Nel 1999 ho partecipato a una competizione per entrare in Porsche e Harm Lagaay scelse il mio lavoro. Ricordo la tensione di quel momento, stavo vivendo un’occasione irripetibile e non avrei potuto fare errori. Poi, sicuramente, sono cresciuto molto lavorando con Michael Mauer: sono stati anni in cui ho imparato tantissimo, nel 2014 sono diventato capo dell’exterior design di Porsche. E, ovviamente, l’incontro con Walter de Silva mi ha cambiato la vita: è stato lui a chiedermi di andare in Lamborghini. Si è realizzato un sogno».
Qual è la giornata tipica del capo del design di Lamborghini?
«Ci sono due tipologie di giornate tipiche. Se sono a Sant’Agata Bolognese mi sveglio verso le 6.30, faccio attività fisica e cerco di guardare le email con le proposte dei miei collaboratori con la mente fresca. Poi faccio colazione con la mia famiglia e vado al lavoro. Passo la giornata con i miei designer tra presentazioni, modellazione e spesso mi piace organizzare meeting nella stanza con il maxischermo dove posso mettere i tape: è una delle pratiche che meglio ti consente di capire le proporzioni. La seconda tipologia di giornata è in viaggio. Utilizzo molto l’iPad per valutare le proposte e cerco di farmi ispirare dai luoghi che visito. Se la meta non è troppo distante mi piace viaggiare in auto, guardarsi intorno apre la strada alle idee».
Quali sono i tuoi designer di riferimento?
«Da Luigi Colani bisogna imparare l’estro e la genialità. Quando studiavo a Pforzheim mi ero letteralmente innamorato della sua Feather Pen, mentre alcune costruzioni di Frank Gehry come il Guggenheim di Bilbao, il Walt Disney Concert Hall a Los Angeles o la Casa Danzante a Praga sono delle vere opere d’arte. Nel campo della mobilità ho scoperto una grandissima passione per le moto e per l’arte che lega questi oggetti alla velocità. Le forme disegnate da Massimo Tamburini per alcuni dei suoi modelli come la Mv Agusta F4 sono immortali: mi hanno insegnato a curare con lo stesso amore anche il più piccolo dettaglio».
Quali città dettano i trend di stile oggi?
«Non si può prescindere dalle metropoli asiatiche come Shanghai, Hong Kong o Tokyo. La carica di innovazione in queste città è trainante, si può dire paragonabile a ciò che poteva essere New York negli Anni 80 e 90. Per chi ama l’architettura contemporanea si trovano tanti spunti anche negli Emirati Arabi, dove le grandi possibilità economiche hanno permesso ai governi locali di commissionare opere architettoniche impressionanti».
Articolo completo su Auto&Design n. 271 – Sfoglialo su A&DCollection


