Cosa accade se uno dei designer automobilistici più celebrati e divisivi degli ultimi decenni lascia scivolare la propria attenzione verso forme a lui inabituali, legate alla quotidianità degli utensili comuni e perciò apparentemente più semplici e ordinarie? Di solito, nasce una collezione studiata insieme a una grande firma dell’abitare, un carosello di piccoli accessori domestici. Se si tratta di Chris Bangle, però, tutto è sovvertito. Appena lo si incontra a Milano, fra bozzetti che campeggiano come quadri alle pareti o rilucono ordinati sotto le teche, imbastisce un discorso sulla “personalità” delle cose fisiche: non certo intendendola quale “cifra estetica distintiva” bensì riferendosi proprio all’insieme delle doti caratteriali di un essere vivente. «Che personalità può avere un arco?» esordisce allegro.
In una sola domanda, ha già spiegato il senso del progetto. Strutture architettoniche di età immemore, pietre angolari onniscienti, professorali penne stilografiche e perfino un conturbante paio di forbici dall’andatura da pin-up divengono infatti protagonisti di un’elaborazione fumettistica, attori di una narrazione complessa (regolata dalla “Fabula Rerum”, volume di trentamila parole che definisce le norme del loro universo), mai soggiogati alla tentazione del tratto antropomorfo. Ovvero gli “Inanimatti”.
L’idea, germogliata nel 2013 durante un viaggio in Croazia, si è evoluta cinque anni dopo in un cortometraggio d’animazione (visibile qui sotto) prodotto dall’indiana Anibrain, “Sheara”, come il nome delle sensualissime forbici. Molto presto, poi, potrebbe nascere un’intera serie. Nel frattempo, presso la Chris Bangle Associated è avvenuto un mutamento profondo.
«Insieme ai miei collaboratori, preziosissimi, ho inventato un gioco: ognuno di noi avrebbe dovuto immedesimarsi in un prodotto, per esempio una lavatrice, e cercare di capire le sue sensazioni. Un ragazzo che interpretava un frigorifero è rimasto attaccato al muro per un po’ e quando se n’è allontanato ha detto di sentire la schiena nuda! Scherzi a parte, grazie a questo metodo abbiamo cambiato modo di lavorare. Ora adottiamo il concetto di “Objectomy”, ovvero l’immaginare i sogni, i pensieri e i punti di vista degli oggetti per disegnarli al meglio, scoprendo al contempo qualcosa su noi stessi utenti». Ecco perché, a chi osserva quanto tutto ciò appaia distante dalla progettazione automobilistica, adesso Bangle risponde fulminante: «Dare un’anima agli oggetti è solo un’altra forma di car design!»