Pochi marchi automobilistici hanno un’immagine così autenticamente americana quanto Jeep. Per questo la Avenger sorprende sotto ogni aspetto: oltre ad essere la prima Jeep a propulsione elettrica pura e la più compatta mai prodotta ad eccezione della Willys originale, è interamente concepita, progettata e costruita in Europa. Un progetto portato avanti in Italia, a Torino, dove disegnare le Jeep non è per altro una novità. «Abbiamo sempre avuto un design center Jeep in Europa, ma è diventato più strutturato nel 2019. Daniele Calonaci è stato nominato capo dello studio, non solo per il suo talento ma anche perché è un grande seguace del marchio», spiega ancora Gilles, che insieme al team Jeep americano ha seguito il progetto da Auburn Hills passando in rassegna i disegni puntualmente inviati dall’Italia.
Dna Jeep in 4,10 metri
A raccontare la genesi della Avenger è proprio Calonaci, che sintetizza così il briefing ricevuto per il progetto: «Dovevamo concentrare in 4 metri il 100 per cento del Dna Jeep». Per quanto del tutto inedita – una vera e propria “game changer”, la definiscono in Stellantis – la nascente Suv compatta per il segmento B doveva infatti essere anzitutto immediatamente riconoscibile come Jeep. Si è partiti quindi dai concetti fondanti della filosofia del brand, dal senso di libertà (in questo caso le dimensioni contenute significano agilità per muoversi nel traffico così come in fuoristrada), all’appeal giovane e divertente, agli aspetti “tech”. «Siamo un marchio tecnico per eccellenza e per la Avenger questo era ancora più importante, visto che si tratta della prima EV della nostra storia. È la funzionalità a diventare forma, non abbandoneremo mai questo approccio “design to function”», assicura Calonaci.
Il lavoro sull’aerodinamica
Per prima cosa sono state definite insieme agli ingegneri le proporzioni da realizzare sulla piattaforma e-CMP del Gruppo Stellantis, secondo un’architettura ben chiara: passo ampio a beneficio dello spazio interno, ruote grandi, altezza da terra di 200 mm e sbalzi contenuti che hanno consentito di ottenere valori ideali per gli angoli di attacco (20°), di rampa (20°) e di uscita (32°). Volumi e superfici hanno quindi preso forma in un mix che vede gli stilemi tipici del marchio sposare le esigenze tecniche, ad iniziare all’aerodinamica, essenziale per l’efficienza dei consumi di un’auto elettrica. I designer sono intervenuti anche sulla curvatura dei tipici archi passaruota trapezoidali, rendendoli un po’ meno squadrati ai fini del Cx, ma la fiancata non risulta per questo meno Jeep, anche per effetto delle due linee che la definiscono, derivate dalla Willys: una che delimita il parafango anteriore, l’altra che raccorda la soglia della porta alla parte terminale della vettura.
La reintepretazione della griglia
Il più iconico degli stilemi Jeep rimane però la “7-slot grille”, la griglia a sette feritoie. È il volto stesso del brand ed è qui che si è trattato di compiere la scelta più decisiva, visto che la propulsione elettrica non richiedeva un vero ingresso aria se non nella parte bassa del frontale, come racconta Ralph Gilles: «Ci siamo chiesti subito che cosa fare, visto che si tratta di un elemento così tipico. Negli sketch iniziali abbiamo visto questa sorta di maschera che include i fari, molto moderna nel look. Abbiamo dibattuto a lungo se includere o no i “7 slots” oppure iniziare un qualcosa di inedito, ma abbiamo deciso che volevamo una Jeep riconoscibile anche a 20 metri di distanza. Quindi è una reinterpretazione della griglia in modo grafico, iconico ma moderno al contempo». Una scelta che ha comunque una valenza funzionale anche se le sette feritoie sono chiuse, aggiunge Calonaci: «Abbiamo montato la griglia davanti ai proiettori, così che i gruppi ottici risultano protetti perché rientrati e non sono la prima superficie di contatto, in città come in outdoor».
Altamente riconoscibile
Anche la vista posteriore è ben riconoscibile e ha un legame con la gamma Jeep, visto che i gruppi ottici reinterpretano il segno ad X di quelli della Renagade, ispirati a suo tempo al “jerrycan”, la tanica del carburante. Per l’interno il riferimento invece è la Wrangler, «con una fascia colorata in cui si inseriscono i componenti. Abbiamo lavorato su una sezione negativa in cui è incastonata una trave funzionale, con un approccio orizzontale per dare ampiezza visiva, e un design minimale affinché sia anche facile da pulire». Basilare per la progettazione dell’interno è altresì il concetto “hyperstorage”: i numerosi vani portaoggetti, molti dei quali modulabili, offrono una capacità totale di ben 34 litri, quando la media del segmento si ferma a 15.
Le sorprese degli interni
Un interno tutto da esplorare e con l’occasione si incontrano i numerosi “Easter egg”, piccole sorprese che i designer hanno voluto disseminare nella vettura, come la sagoma di un bambino che guarda le stelle con un telescopio (alla base del parabrezza), il profilo della catena montuosa che contorna Torino (sul lunotto) o ancora, all’esterno, la coccinella in rilievo sulla barra del tetto. Coccinella europea, ovvero con la livrea a sette punti, precisano i designer, così come sette sono i colori di lancio della Avenger. Ma non rivelano quanti e dove siano tutti gli Easter egg: esplorazione e divertimento fanno parte del dna Jeep.
(Articolo completo in A&D n. 258)