Kevlar, Silver Spry, Monofilament, Nylam e poi Teflon, Tyvec, Stratosoft, Met-l: non sono componenti di navicelle spaziali, ma le nuove frontiere dei materiali per abbigliamento.
Seta, cotone e lino non scompaiono, vengono affiancati dalla tecnologia, e i risultati si traducono in termini di creatività innovativa, con parka e mantelle che si trasformano in materassini, amache, tende da campeggio o aquiloni, gilet che si diventano zaini, giacconi che sono anche poltrone.
Sono i “trasformabili” che Moreno Ferrari ha concepito per C.P. Company, “non solo abiti, non solo rifugi, ma oggetti ibridi polifunzionali, estensioni del corpo umano, protesi che potenziano la capacità di sopravvivenza dell’uomo, attrezzandolo per la nuova condizione di nomade solitario, senza tribù e senza greggi”.
Con il libro su Carlo Rivetti e la sua Sportswear Company (C.P. Company – Stone Island), a cura di Stefano Valenti, la casa editrice Stardust inaugura una collana dedicata ai protagonisti della moda. Si legge nella premessa: “E del resto, se il fine del design industriale è la creazione di manufatti che durino nel tempo, la cui forma sia il risultato dell’adeguatezza funzionale, perché non dovrebbe essere considerata design, ad esempio, la giacca destrutturata di Armani?”
A sottolineare questo legame fra discipline, nel libro si leggono spesso le parole design e architettura: “l’architettura è solidità, è mattone, è muro – dice Moreno Ferrari – le mie architetture sono gli abiti, i miei mattoni sono i tessuti. Io detesto la pesantezza. Odio i muri”.
Nascono da riflessioni sul nomade metropolitano i temi portanti delle collezioni C.P.Company perché, conclude l’autore citando Heidegger “il modo in cui tu sei e io sono, il modo in cui noi uomini siamo sulla terra, è il Bauen, l’abitare”.
L’articolo continua su Auto & Design n. 129