La Lotus Eletre ha inaugurato una stagione inedita per il costruttore inglese, pronto a trasformarsi in produttore di vetture ad alte prestazioni ed esclusivamente elettriche. La Eletre è il primo Suv di Lotus e l’abbiamo guidato in Norvegia registrando un’agilità fuori dal comune nonostante le dimensioni, merito di una messa a punto da vera sportiva e di motori potentissimi: 605 cavalli per la Eletre S e addirittura oltre 900 per la Eletre R. I designer hanno scelto di non differenziare esteticamente le due versioni del Suv. A seguire la design story della Lotus Eletre, pubblicata su Auto&Design no. 254.
Il team che sta dietro alla nuova Lotus Eletre ha affrontato una sfida impegnativa con lo sviluppo del primo Suv in assoluto della casa britannica. Nel confrontarsi con questo compito, i designer erano ben consapevoli di dover fare riferimento alle auto sportive del marchio, ma volevano anche evitare la profusione di dettagli stilistici che complicano eccessivamente i Suv moderni. «I design troppo stilizzati tendono a durare pochissimo tempo», ci ha raccontato Peter Horbury, recentemente scomparso e che ha seguito il progetto come vicepresidente senior del design di Lotus.
Richiamo al passato
Il Suv prodotto in Cina doveva soddisfare il desiderio degli acquirenti locali di un’auto di lusso dotata di forza visiva, richiamare le auto sportive più sinuose del marchio e risultare attraente per il mercato europeo. Doveva anche avere un design che suggerisse il tipo di alimentazione, nello specifico elettrica, dando alla vettura un vantaggio visivo rispetto alle antagoniste con motore a combustione interna, come la Lamborghini Urus, l’Aston Martin DBX e la Porsche Cayenne.
”Non assomiglia a nessuno”
«Penso che cercare di ottenere questo look “cab-forward” sia stato l’aspetto più importante dal punto di vista dell’architettura», ha dichiarato Ben Payne, responsabile del Lotus Tech Creative Centre (LTCC), ad Auto&Design. «La maggior parte delle persone osserverà il prodotto e capirà che non assomiglia a una Porsche o a un’Aston Martin». I riferimenti alle auto sportive sono ovunque. Il frontale affilato e i sottili fari a Led alludono alla nuova Emira mentre, poco più in basso, la vettura diventa permeabile con bocchette di ventilazione aerodinamiche e condotti di raffreddamento che rendono omaggio all’Evija, l’hypercar elettrica di Lotus.
Due alette a sbalzo al posteriore
La parte inferiore della griglia è divisa in una serie di triangoli che possono aprirsi e fornire raffreddamento alla batteria, se necessario. Questa caratteristica, che Lotus ha brevettato, è il risultato intelligente del connubio forma/funzione che «promuove la progettazione sulle superfici di Classe A», ha sottolineato Payne. Lui e il suo team hanno dovuto aguzzare ulteriormente l’ingegno quando si è trattato di lavorare alla coda. Due alette a sbalzo sulla sommità del portellone posteriore mantengono l’aria a contatto della sezione curva prima che il flusso si separi o venga modificato dallo spoiler attivo.
Interni tech e sportivii
All’interno dell’auto i designer Lotus avevano ancora una volta bisogno di conciliare le necessità dei cinesi in termini di tecnologia con quelle degli automobilisti europei, che mirano a un ambiente più incentrato sul guidatore. L’elemento tecnologico comprende ben cinque schermi, di cui due per visualizzare le immagini delle telecamere al posto dei tradizionali specchietti retrovisori (dove i mercati lo consentono), due nel “nastro tecnologico” che si snoda dal guidatore al passeggero e un ampio touchscreen da 15,1 pollici al centro della plancia, che si può appiattire sul cruscotto quando non è utilizzato e molte delle informazioni del conducente vengono fornite da un head-up display standard.
Materiali leggeri e sostenibili
I materiali degli interni sono stati scelti all’insegna della leggerezza e della sostenibilità, dalla lana Kvadrat a un tessuto in microfibra. Il fatto che questa vettura sia stata sviluppata in un lasso di tempo così breve durante la devastante pandemia di Covid ha rappresentato un trionfo assoluto del telelavoro in collaborazione tra Regno Unito, Svezia e Cina. «La pandemia avrebbe potuto vanificare questo sforzo, ma siamo stati in grado di fare delle design review», ha osservato Horbury.
(Articolo completo in A&D n. 254)