Fra le frontiere dell’automobilismo di domani, una delle più incisive e stimolanti si è ormai delineata nel fiorire della mobilità condivisa, che promette di modificare profondamente la quotidianità di milioni di persone nei grandi centri urbani. «A Parigi, per esempio, già adesso molti si spostano con scooter elettrici, biciclette a pedalata assistita e perfino monopattini», spiega Pierre Leclerq, a capo del design del Double Chevron. «Questa è la nostra risposta».
Impacchettata in due metri e mezzo di lunghezza e cucita su misura per due passeggeri, la Ami One punta a comunicare anzitutto freschezza e accessibilità, con un’immediatezza assai maggiore rispetto a un’auto privata: «Per qualunque prodotto cerchiamo di immaginare una relazione con l’utente finale, puntando su un linguaggio che si accordi al suo mondo. Qui però non dovevamo definire una C3 o una C4 Cactus, animate da uno spirito pop ma indirizzate a un singolo acquirente, bensì un “oggetto urbano” rivolto a una moltitudine di utilizzatori giornalieri. Per questo era necessario sviluppare approfonditamente l’intuitività. Basti pensare che l’ingresso a bordo avviene semplicemente inquadrando con uno smartphone il QR code sulle maniglie».
Proprio le portiere costituiscono uno degli elementi nevralgici dell’impostazione funzionale e costruttiva: identiche su entrambi i lati e incernierate all’opposto, definiscono le linee di fiancate e padiglione e si fanno ispiratrici di un filo conduttore che intesse profondamente il progetto, poiché sono uguali anche i pannelli principali di muso e coda, i paraurti, i brancardi, i supporti dei gruppi ottici e altri componenti ancora. Un guizzo di creatività intelligentemente orientato al contenimento dei costi: «Per il momento l’ottica resta quella di una concept, ma ipotizzando un eventuale futuro produttivo ci si attesterebbe comunque su numeri contenuti: ecco perché abbiamo elaborato fin da subito strategie industriali molto più economiche del solito», continua Leclerq.
L’effetto estetico risulta in una marcata orizzontalità, tipica del marchio ma in questo caso direttamente legata all’impossibilità di adottare una linea di cintura ascendente, che conferisce forse alla microcar un’inattesa somiglianza al veicolo commerciale Spacetourer e di certo le regala una significativa solidità visiva, anche grazie alle ruote da ben 18”. «Non abbiamo adottato una base meccanica definita, in quanto l’unico vincolo tecnico era costituito dalla trazione elettrica. Ciò ha consentito di sperimentare anche con il dimensionamento dei passaruota e le proporzioni».
E se alcuni codici possono apparire tipici di molte ultracittadine, come il colore sgargiante e la simpatia quasi antropomorfa del frontale, a uno sguardo più attento si percepisce un’intenzione di leggerezza (capote in tela manuale, retrovisori “essenziali”, sedili non imbottiti, plancia priva di touch screen) che veste di stile sbarazzino un’esigenza reale: contenere il peso in 500 kg, il limite per omologare la Ami One come quadriciclo e renderla così davvero fruibile a ogni automobilista.
«Non ho partecipato fin dall’inizio a questo progetto, ma lo amo molto», rivela infine Pierre Leclerq. «È funzionale, confortevole, intelligente e democratico. Come le Citroën popolari di un tempo, insomma. Se a Parigi tutte le auto fossero così, forse vivremmo in una città migliore!».
(Articolo completo in A&D n. 236)