Andrea Zagato, che con Norihiko Harada è padre della Ottovù presentata al salone di Ginevra e attraverso la quale rinasce dopo oltre 70 anni il prestigioso marchio Diatto di Torino, parla di «un tema neoclassico».

Il designer giapponese, che per Zagato aveva già firmato la Ferrari 575 GTZ, insiste piuttosto sul suo intento di disegnare «qualcosa non troppo soggettivo, ma piuttosto naturale e senza forzature, con le tipiche proporzioni di un’auto sportiva che durano nel tempo e non invecchiano».

I due approcci non sono in contraddizione. Anzi. Semmai testimoniano, nel mondo dell’automobile in generale e persino nell’ambito di una casa sempre innovativa come è stata la Zagato, un momento di stanchezza del linguaggio formale, che spinge a rifugiarsi nel passato.

«Alla fine di un periodo storico – ammette Andrea Zagato – si fa la celebrazione dell’epopea del periodo. Lo si è fatto in architettura, ora lo si fa con l’automobile, un settore in cui si è ormai visto di tutto e di più.
Figli di quell’epopea sono la Mini, che guarda caso si è celebrata con un prodotto neoclassico, la 500 che sarà la ciliegina sulla torta della rinascita Fiat, il Maggiolino, la Mustang, la GT40. Nel settore nostro, che è quello della carrozzeria e delle auto sportive italiane, gli anni 50 e 60 hanno rappresentato praticamente tutto; ed è a quel periodo, appunto, che ci siamo ispirati per la Ottovù»…

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