Con la recente nomina di Laurens van den Acker a successore di Patrick Le Quément alla direzione del design Renault, si è verificata la curiosa situazione per cui designer provenienti dal Belgio e dall’Olanda, paesi che per decenni non hanno avuto un’industria motoristica indigena (nella seconda metà del secolo scorso esisteva solo la Daf olandese), sono a capo del design di alcune delle aziende automobilistiche più antiche e prestigiose del mondo.
Gli olandesi Van den Acker e Adrian van Hooydonk della BMW lavorano per case tradizionali full-range, i belgi Dirk van Braeckel della Bentley e Luc Donckerwolke della Seat per marchi più di nicchia, il primo fornitore di automobili di lusso e il secondo generalista, entrambi di proprietà della Volkswagen. Come molti connazionali prima di loro, questi uomini hanno dovuto esportarsi per poter realizzare in pieno le potenzialità del loro talento. Il grande cantautore belga Jacques Brel divenne noto e apprezzato in tutto il mondo solo dopo che aveva lasciato “il paese piatto che è il mio”, come dice uno dei suoi pezzi più belli, per lavorare a Parigi (di fatto molti pensano ancora che Brel fosse francese).
Una cosa che ho osservato in più di cinquant’anni di design dell’automobile è che, in certi momenti e in certi luoghi, di solito nelle scuole di design, gruppi di studenti particolarmente dotati e ambiziosi, che si stimolano vicendevolmente a raggiungere livelli di performance sempre più alti, producono risultati eccezionali. Questo nesso non deve esistere solo nelle scuole: all’Audi nel 1993 c’era un gruppo di designer eccellenti, tra cui tre dei designer-artisti di tradizione fiamminga citati in precedenza, che lavoravano nel team capitanato da Hartmut Warkuss.
Tra gli altri vi erano Peter Schreyer, Freeman Thomas, Chris Bird, Craig Durfee, J Mays, Derek Jenkins e Thomas Ingenlatht oltre ai talenti di alto livello belgi e olandesi.
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