Inoltrarsi in uno dei segmenti più frequentati del mercato rappresenta sempre una sfida. Per la prima vera C-SUV di Hiroshima, la Mazda CX-30, appena presentata al pubblico italiano al Salone del Parco Valentino di Torino e più grande della già nota CX-3, pare però che il processo si sia sviluppato con tipica serenità giapponese. Ryo Yanagisawa, a capo del design del progetto, spiega laconico: «Non ci siamo mai interrogati sulle altre Case. Semplicemente abbiamo scelto la strada che più si confaceva al marchio e alla nostra visione».
Ciò ha significato, anzitutto, riprendere il peculiare trattamento delle fiancate proposto sull’ultima Mazda3 (e ripreso dai prototipi RX Vision e Vision Coupé) modulandolo sulle mutate proporzioni. «Per la berlina a cinque porte preferivamo piegare la lamiera creando un’importante convessità dietro l’avantreno, al fine di sottolineare lo slancio del muso. Sulla crossover abbiamo invece modellato le forme all’inverso per enfatizzare le ruote posteriori, che su alcune versioni sono anche motrici, puntando a conferire più solidità all’insieme».
Entrambe le vetture si avvalgono di un ricercato affinamento dei riflessi per disegnare i volumi, pur se con approcci distinti: «Anche per la CX-30 è stato necessario lavorare con pazienza per verificare continuamente l’effetto dei raggi di curvatura ipotizzati al computer sull’auto reale e, viceversa, la riproducibilità industriale delle forme create dai nostri artigiani, che scolpiscono il clay quasi con poesia». A sostenere l’impalcatura visiva, spiega ancora Yanagisawa, concorre pure l’ampia fascia sottoporta in grigio opaco, che ribassa la percezione del corpo vettura. È evidente, però, che la vera regina del design resti la luce.