Una carrellata su Detroit e i prototipi esposti è il soggetto del reportage di Robert Cumberford in questo numero dedicato in gran parte al Salone statunitense. Non cronaca ma analisi degli umori del mercato e del significato di kermesse come queste. “L’ultima edizione del Salone di Detroit era così ricca di concept da ricordare i Saloni di Torino degli Anni 60, a parte il fatto che a quei tempi il design era molto più originale. Una canzone di Bruce Springsteen diceva: “Cinquantasette canali e niente da vedere” . Il cantante avrebbe potuto modificare le parole come segue: “Trentasette concept e niente di nuovo”. Il tema prediletto degli addetti stampa era: “questa non è una station wagon, ma un’idea nuova che travalica il segmento” mentre presentavano una moltitudine di nuove “non station wagon” a un pubblico annoiato ma perfettamente in grado di vedere che erano esattamente ciò che si pretendeva non fossero”.
Un posto tra i “salvati” è riservato da Cumberford a un prototipo General Motors. “La concept GM più significativa era un veicolo realmente di ricerca, l’AUTOnomy alimentata a idrogeno con telaio monocomponente, simile a uno skateboard high-tech, su cui è fissata la carrozzeria fantascientifica. Passeranno alcuni anni prima che si possa sperare di guidare vetture come questa, ma il lavoro procede nella giusta direzione.
L’analisi di Cumberford si conclude con un pensiero sullo stato generale del NAIAS. “Il Salone era nel complesso un po’ sottotono. L’ingresso della Cobo Hall era presidiato da poliziotti che controllavano tutto. La minaccia per il settore automobilistico americano non sono però il terrorismo o il ridimensionamento, ma le case europee e giapponesi, che costruiscono a prezzi concorrenziali vetture e truck di gran lunga superiori in termini di qualità”.
L’articolo continua su Auto & Design n. 132