Come la maggior parte delle persone che conoscevano la nuova Cinquecento quando era un elemento corrente di produzione e le strade di Torino ne erano piene, ero affascinato dalla piccola vettura. Il mio giudizio e la mia prospettiva erano favoriti dal fatto che il mio compagno di camera ai tempi dell’Art Center era proprietario di una Cinquecento “Topolino” del 1937, su cui ho trascorso molte ore felici alla guida o come passeggero, beandomi della sua eccellente maneggevolezza e del suo sorprendente comfort di marcia.
Non era il veicolo più affidabile e divenni fin troppo esperto del funzionamento interno del suo minuscolo motore quattro cilindri a valvole laterali. Il bicilindrico raffreddato ad aria della Nuova 500 era un’altra bestia: non ho mai visto i “pezzi sporchi d’olio” di uno di quei motori; erano straordinariamente robusti e a ciò si deve l’impressione generalmente positiva nei confronti del “barattolo di yogurt”, diffusa ancor oggi, mezzo secolo dopo la sua introduzione. Gianni Agnelli ne aveva un esemplare in giardino, realizzato in marmo bianco di Carrara dall’artista egiziano copto Roland Baladi.
La Nuova 500 suscita un’enorme simpatia, insieme all’altra icona degli anni Cinquanta, la Mini inglese, e al Maggiolone Volkswagen degli anni Trenta, come riproposta moderna di un’automobile amata di altri tempi.
È interessante che la Volkswagen New Beetle e la BMW Mini siano state create entrambe da designer americani con esperienza europea, Freeman Thomas e Frank Stephenson rispettivamente, mentre la Nuova 500 e l’altrettanto affascinante concept car Lancia Fulvia del 2003 appaiono realizzate da italiani. Sospetto che, in assenza dei due progetti tedesco e inglese, nessuno in questo paese avrebbe guardato al passato anziché creare qualcosa di completamente nuovo.
Spero che questa tendenza rappresenti solo un entusiasmo temporaneo da parte dei designer automobilistici di tutto il mondo, perché oggi si vedono troppi veicoli che ricapitolano i difetti oltre che le virtù del passato.