Nata fra il sette e l’ottocento quando la città diventa luogo di passeggio e paesaggio fruibile dal cittadino, la panchina consacra la possibilità di osservare e ammirare la natura, non più ritenuta ostile. Il suo progetto è quindi, molto diversamente da quello di una sedia, fortemente legato alla collocazione urbana o in spazi verdi pubblici.

Nella contemporaneità, il tema dello stare seduti in città rappresenta certo un ambito di progetto da riscoprire e da innovare dal punto di vista funzionale ma anche culturale, per indagare, ad esempio, come in una città storica ci si possa accomodare su una panca contemporanea.A partire da queste riflessioni, Riccardo Blumer, architetto e designer, e Renato Stauffacher, architetto e direttore generale Alias, raccontano il progetto della panchina Ghisa (realizzato insieme a Matteo Borghi).

Ghisa è costituita da sedute componibili in ghisa lamellare verniciata per esterno: quattro moduli (due testate e due sedute) che, a seconda di come si compongono, possono definire una curva concava o convessa con schienale esterno o interno, una sinusoide o una panca dritta. Attraverso l’uso di un materiale della tradizione proposto con un linguaggio attuale, Ghisa diventa perciò un sistema flessibile per l’esterno, urbano e pubblico o privato e residenziale. È idealmente infinito e adattabile a tutte le situazioni: attorno agli alberi come un recinto, a serpente e snodato nei prati e in giardino, sinusoidale fra i lampioni e le fontane o semplicemente come panchina o seduta singola.

La struttura a scheletro – una spina dorsale con le costole – si comporta come una trave reticolare che, potendo descrivere campate molto ampie, permette alla panchina di ridurre gli appoggi a terra, in modo da adattarsi più facilmente alle pavimentazioni irregolari. L’intero progetto nasce da una sperimentazione sulla ghisa, prima fusione del ferro e materiale basico, quasi “primordiale”, qui stampata attraverso la tecnologia dello stampi in terra, una tecnica che permette di realizzare forme altrimenti impossibili. “In studio – afferma Blumer – stavamo indagando come sostituire il sistema dello stampo a maschio e femmina che impedisce appunto la realizzazioni di forme particolari, e si stava lavorando con stampi gonfiabili e sgonfiabili per soddisfare industrialmente questa esigenza”. In seguito alla visita a un’officina di fusione nelle Marche, Blumer scopre invece “l’anima di sabbia” con la quale è possibile produrre la forma interna di uno stampo che, successivamente spaccata, può essere estratta evitando quindi di dover separare il maschio e la femmina.

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