«L’Insignia doveva scioccare, l’Astra no: semplicemente, doveva continuare». È la prima battuta di Mark Adams nel presentare la nuova tappa del percorso stilistico, per molti versi rivoluzionario, avviato in casa Opel. «Ma questo non significa che ci siamo limitati a travasare linee e concetti da un modello all’altro: non voglio soluzioni obbligate, ogni modello deve avere una sua personalità, pur conservando temi comuni. Come l’impostazione scultorea, che si ritrova in molti tratti».
Va da sé che il contesto è ben diverso, non fosse altro che per un interasse che, per quanto in netta crescita rispetto al passato (+71 mm), resta ben più contenuto rispetto all’Insignia. Così come è differente la missione di un modello che peraltro denuncia a prima vista la voglia di apparire più prezioso – emblematico il profilo cromato che avvolge per intero i cristalli – ma soprattutto più sportivo che in passato. Ecco allora un frontale assai meno enfatico rispetto a quanto proposto sull’ammiraglia: più sviluppato per linee orizzontali e centrato attorno a una griglia trapezoidale posizionata più in basso, a rimarcare l’appoggio a terra della vettura.
Il tutto è contornato dall’abituale lavoro di immagine affidato alle sorgenti luminose: gli indicatori di direzione, ad esempio, sono stati spostati nel paraurti, dove di solito stanno i fendinebbia (che, nel caso, si sovrappongono), mentre in coda le luci disegnano un profilo alare. Coda che per certi versi propone un’intonazione ancora più sportiva, vuoi per l’angolazione del lunotto, vuoi per il tanto spazio che, trasversalmente, separa quest’ultimo dalle ruote, in quello che Adams non esita a definire “effetto 911”.
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