In un passato non molto lontano i designer Mazda amavano trarre spunto dalla natura: una volta un pesce, un’altra un uccello, o ancora un’onda impetuosa. Ora che la parola d’ordine è Kodo – soul of motion – occorrevano altre etichette. E’ così che il Suv CX-5, nato nel 2012 e dopo un milione e mezzo di esemplari approdato quest’anno alla sua seconda generazione, aspira a fregiarsi del titolo di “Auto come arte”; e che i suoi designer affermano di «voler portare la qualità del design Kodo a un livello artistico». Come? «Abbiamo studiato marchi premium come BMW e Volvo che incapsulano rispettivamente Bauhaus e design scandinavo», spiega Shinichi Isayama, chief designer della vettura: «Abbiamo cercato di emularli introducendo una bellezza di tipo giapponese, cioè tendente a semplificare, a eliminare gli elementi non indispensabili, a introdurre tocchi del nostro artigianato tradizionale. Di fronte a tante automobili da fantascienza, digitali e inorganiche, noi abbiamo cercato di dare un senso di calore umano».

MAZDA CX-5

Il marketing Mazda va oltre. Semplicità sì, ma anche Jinba Ittai, che si potrebbe rendere come “cavaliere e cavallo in un corpo solo”. In questo caso la connessione fisica ed emotiva non è con un cavallo ma con l’auto: un’armonia che nella gioia della guida, affermano i giapponesi, “dà vigore al corpo e allo spirito”. Il cerchio si chiude attorno a una forma “pura e semplice”. «Si tratta – afferma il responsabile globale del design Mazda, Ikuo Maeda – di progettare auto che racchiudano la bellezza dinamica della vita, che suggeriscano visualmente l’espressione di questa energia».

Nel caso della CX-5 le forti linee del frontale e le forme più arrotondate del posteriore, collegate da fiancate morbide e delicate, generano un’espressione di semplice eleganza non priva tuttavia di una certa muscolatura. In Mazda si parla di “refined toughness”, robustezza raffinata. Il responsabile degli esterni, Takanori Tsubaki, si è valso di cinque modellini 1:4 per cercare la formula vincente; ma anche del linguaggio formale del concept RX-Vision che stava nascendo in parallelo e che alla CX-5 ha regalato una scossa sportiva inconsueta nel mondo dei Suv. «Gli stessi concetti – spiega Isayama – ma sviluppati in maniera diversa. Quello che hanno in comune è la semplicità formale che poi si sviluppa in modo dinamico ed emotivo». Rispetto al modello precedente la CX-5 ha un cofano più lungo e l’abitacolo più arretrato, ma la lunghezza (4,55 metri) cresce di appena un centimetro e il tetto è più basso di 3,5.

E’ negli interni, curati da Tatsunori Iwahara, che lo spirito della semplicità come arte emerge con particolare vigore: «Sono puliti e lineari – osserva Isayama – ma soprattutto privi di tutti i fronzoli che potrebbero distrarre il guidatore. C’è una linea diritta su tutta la plancia, attorno alla quale si sviluppano i vari elementi. Inoltre la consolle più alta fa sì che alcune funzioni siano più facili da raggiungere. Doveva essere uno spazio rilassante per i passeggeri e comodo per il guidatore che deve concentrarsi sulla strada. Un’armo-nia tra relax e tensione, in un ambiente semplice. Come una casa da tè. Che cosa potrebbe essere più giapponese?»

 

Mazda CX-5
Mazda CX-5
Mazda CX-5
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