Un pensiero è ben presente nella mente di chi va per mare o sulle montagne: l’unica cosa di cui bisogna avere paura è la paura! Ed analizzando il metodo di sviluppo dell’industria cinese verrebbe da dire che il suo vero limite è proprio questo: la paura di innovare, il non trovare fino in fondo la forza di scrollarsi di dosso un’insicurezza che porta ad inseguire piuttosto che a sperimentare, il timore di provare nuove strade nel design nonostante si abbiano i mezzi per poterlo fare. Una sorta di complesso di inferiorità che ogni volta vuole riferirsi a schemi stilistici altrui e ben consolidati, una resistenza mentale che viene obnubilata dal mercato in esplosione e dal business premiante.
In termini numerici, anche quest’anno il Salone di Shanghai ha superato se stesso ed ogni previsione. L’entusiasmo per l’automobile (proprio quella che nei mercati cosiddetti “maturi” viene ormai considerata “commodity”) non accenna a stemperarsi, anzi si alimenta senza tregua e oltre due ore di coda servono in media al visitatore per accedere ai vari padiglioni dove, all’insegna del mondo globale, i costruttori “stranieri” sono miscelati ai “locali” in quello che sta diventando il mercato auto più importante del pianeta.
Qui le vetture di lusso trovano la nuova mecca (nonostante una tassa sull’importazione sui motori oltre 4 litri pari a circa il 50%), la Cina è ormai il primo mercato per Lamborghini, quasi 1000 Bentley sono state vendute nel 2010 e le serie speciali con prezzi dilatati vengono vendute ancora prima che si aprano le porte del Salone. Ciò non deve stupire: i cinesi con un patrimonio personale superiore al milione di euro sono oltre un milione. General Motors vende oggi più auto in Cina che negli Stati Uniti, Audi presenta la Q3 prima in Cina che in Germania, tutte “piccole” cose che nessuno avrebbe potuto anche solo immaginare pochi anni or sono.
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