La nuova Toyota C-HR non è certamente una vettura banale. Sulla spinta del successo che la prima serie ha ottenuto, ecco una seconda serie riveduta e corretta, ma soprattutto migliorata: nata in Europa e destinata – nelle intenzioni e nelle previsioni della casa giapponese – a dominare il segmento C-Suv, è stata oggetto a luglio della nostra Cover Story del numero 261.
Come la sua progenitrice, che in sette anni è diventata un fiore all’occhiello di Toyota, è un’auto molto ambiziosa. Più corta di 2,5 centimetri, più larga di 3, ma con un passo più o meno uguale a quello della Corolla Cross che è più lunga di 10 centimetri, gioca la carta del confort. Soprattutto per chi sta sui sedili posteriori e grazie al nuovo taglio dei finestrini laterali (si spingono fino a toccare i gruppi ottici) conquista una visuale che nella prima serie mancava.
Non è tutto. Una lunga e convincente prova sulle tortuose strade dell’isola di Ibiza ci ha rivelato capacità stradali di prim’ordine. La nostra auto, full hybrid come tutte le versioni della C-HR (l’anno prossimo ci sarà anche una plug-in), era il modello AWD e disponeva del motore endotermico di due litri (il più apprezzato, in alternativa a un 1,8) che con l’aggiunta dell’elettrico disponeva di una ragguardevole potenza di 195 kW.
Sulle difficili strade dell’isola, anche su quelle per lunghi tratti bagnate da una pioggerella autunnale, ha offerto un gradevole senso di sicurezza, grazie soprattutto a uno sterzo preciso e a una frenata di prim’ordine, ma anche a un’accelerazione pronta, omaggio di una struttura ibrida di quinta generazione che ricalca quella già sperimentata con successo sul Suv Rav4.
Nata per un pubblico europeo che era “al cuore del progetto”, come ha affermato Toshio Kanei, l’ingegnere capo che ne ha avuto la responsabilità del progetto, la C-HR offre anche interni molto accoglienti, di taglio moderno ma di ergonometria sicura. Con una plancia “ad ala”, dominata da due schermi entrambi di 12,3 pollici, ha sedili comodi e spaziosi.
Non manca un tocco ecologico, ormai mantra per l’industria dell’auto, con tessuti derivati dalle bottiglie di plastica e il volante animal-free, cioè rivestito di pelle sintetica, e un consistente risparmio (anche sugli acciai speciali utilizzati) in termini di CO2. Per non parlare dell’illuminazione variabile e, dulcis in fundo, di tutta l’elettronica di sicurezza che Toyota ha sposato da tempo. L’occhio, che vuole la sua parte, non può disdegnare il bicolore che non si limita al tetto ma, in alcune versioni, caratterizza anche la coda, a partire dal taglio delle porte posteriori. La sfida è servita.